Viaggi
Orrido di Uriezzo. Shutterstock-Photo by Cristian Puscasu
#FFFFFF
Orrido di Uriezzo. Shutterstock-Photo by Cristian Puscasu
Che Madre Natura non smetta mai di ridimensionare l’uomo, sorprendendolo con spettacoli di bellezza irripetibile artificialmente, è dato noto. Ma, ne erano certi i romantici, al di là della sua meraviglia rassicurante, protagonista dei paesaggi sereni e aperti, bisogna fare i conti anche con il senso di vertigine che, per vocazione intrinseca, è capace di suscitare. È il caso degli orridi, gole scavate nella roccia dalla forza dell’acqua, fino ad assumere l’aspetto più angusto e scenografico immaginabile, presenti sulla nostra Penisola in misura maggiore rispetto a quanto si possa pensare. Tra grotte, cascate, pareti a strapiombo e lugubri anfratti, ecco una rassegna dei luoghi più selvaggi d’Italia. Preparatevi dunque a sentirvi estranei, o voi che entrate.
In Piemonte, in Valle Antigorio, lo scioglimento del Ghiacciaio del Toce, creatosi con l’ultima glaciazione (risalente a 12.000 anni fa), ha dato vita a un insieme di torrenti e cascate, che con il tempo hanno eroso la roccia granitica, risolvendosi in un intricato sistema di strette vallate, cunicoli e gole. Oggi il complesso, del tutto simile a un canyon, è noto come Orridi di Uriezzo ed è visitabile a piedi, camminando in quello che in passato era il letto del fiume. Le nicchie e le scanalature sulle pareti, prodotte dal moto vorticoso dell’acqua, costituiscono il tratto distintivo di questo passaggio alpino del tutto eccezionale, che si snoda in grandi cavità subcircolari, per un totale di tre orridi: l’Orrido Sud, quello più suggestivo, lungo circa 200 metri e con una profondità dai 20 ai 30; l’Orrido Nord-Est, più corto e stretto, e l’Orrido Ovest, più convenzionale e consigliato ai soli esperti. L’elevata umidità dell’area non ha impedito lo sviluppo di un ecosistema caratteristico, di cui sono esempio alcune specie vegetali come i muschi e le felci, capaci di adattarsi alla scarsa illuminazione e al terreno liscio.
Creato 15 milioni di anni fa dall’erosione del torrente Pioverna e del Ghiacciaio dell’Adda, l’Orrido di Bellano, in provincia di Lecco, è un susseguirsi di gigantesche marmitte, cupi anfratti e spelonche, tanto impressionanti da stregare perfino Stendhal, che li descrisse nel suo Viaggio in Italia. Visitabile grazie a un sistema di passerelle ancorate alle vertiginose pareti che si tuffano nelle acque, il complesso si dirama lungo corridoi angusti illuminati dal riverbero del sole su cascate e rigagnoli, puntellati da una vegetazione dall’aspetto tropicale che richiama latitudini remote. L’unicità ambientale dell’Orrido ha nutrito nei secoli miti e leggende, alimentati anche dalla presenza, all’ingresso, di una torretta dal passato così fumoso da aver dato luogo a credenze popolari secondo cui sarebbe stata la sede di riti satanici. Il nome, non a caso, è Cà del Diavol.
Nel cuore delle Prealpi Carniche, in Friuli-Venezia Giulia, si trova l’Orrido di Pradis, dal nome dell’omonimo altopiano che si configura come una vera e propria riserva naturale di storie millenarie. Conosciute anche come Grotte Verdi, per via del color smeraldo che ne illumina le pareti, le cavita carsiche oggi visibili risalgono al Cretacico superiore, quando emersero dal mare i calcari, durante la formazione delle Alpi. La loro successiva e lenta corrosione chimica, per effetto del carsismo, si è unita all’intenso – e cruciale – processo erosivo esercitato del Torrente Cosa, che, secolo dopo secolo, ha così scavato nella tenera roccia. In breve, l’Orrido di Pradis è un perfetto paradigma di geologia. Avventurarsi al suo interno significa imbattersi in archi naturali, cascate, percorsi tra stalattiti, stalagmiti e colonne dove si respira la straordinaria potenza di Madre Natura. L’esplorazione sotterranea richiede il superamento dei 207 scalini che arrivano alla forra creata dal Cosa, mentre in fondo all’orrido si può ammirare il crocifisso ligneo del Maestro Gatto di Treviso.
Alle pendici dei monti Rondinaio e Tre Potenze, in provincia di Lucca, in Toscana, le ripidissime pareti scavate in profondità dalle fredde acque del Rio Pelago costituiscono la cornice dell’Orrido di Botri, scenografica gola calcarea all’interno dell’omonima Riserva naturale. Un vero e proprio canyon carsico, in cui il torrente segue il corso della stretta vallata, infiltrandosi tra i suoi fianchi rocciosi, che raggiungono anche i 200 metri di altezza, rappresentando un sito privilegiato per la nidificazione dell’Aquila reale. La creazione dell’area protetta, nel 1971, ha permesso la conservazione integra di fauna e flora. Tra le specie vegetali si distinguono alcuni campioni botanici di grande rarità, come la pinguicola vulgaris, pianta insettivora – è dotata di foglie viscose – dai fiori viola. La distribuzione del verde segue una stratificazione verticale, per cui alla base, dove il clima è più umido, si riscontrano muschi e felci, mentre salendo in superficie, tra estese faggete, predominano aquilegie e silene.
Anche in questo caso inglobato in una riserva naturale, sul versante sud della Val di Susa piemontese, l’Orrido di Foresto si distingue per le pareti strapiombanti, al punto che il suo itinerario alpinistico è divenuto luogo eletto per ferrate adrenaliniche, tra ponti tibetani sospesi, fragorose cascate e gelide pozze d’acqua cristallina. La gola, scavata nella notte dei tempi dal Rio Rocciamelone, diventa gradualmente più stretta e claustrofobica man mano che si prosegue nell’escursione, ed è chiusa a est dagli ultimi tratti della costiera che si snoda tra il Monte Palon e il fondovalle. Si tratta di una zona di indubitabile fascino, popolata dall'uomo fin dalla preistoria, come dimostrano i ritrovamenti sotto le rocce a monte dell'orrido.
“Nesso, terra dove cade uno fiume con grande empito, per una grandissima fessura di monte”, scriveva Leonardo Da Vinci, nel suo Codice Atlantico. Frutto di due torrenti, Tuf e Nosè, la cui irruenta confluenza ha dato vita a una precipitosa cascata di 200 metri che taglia il borgo in due, prima di sfociare nel placido Lario, l’Orrido di Nesso è divenuto tappa obbligatoria per i visitatori del Lago di Como. Lo scorrere incessante delle acque, storicamente essenziale per lo sviluppo dell’industria manifatturiera della zona, ha modellato lo scenario circostante, in un percorso fra gole strette e profonde, dal sapore selvaggio e pittoresco al tempo stesso. Uno spettacolo – a dispetto del nome, come ormai si sarà intuito – che si offre alla vista dalla vicina Piazza Castello, oppure direttamente dalla riva del lago, scendendo per una gradinata di oltre 270 scalini, fino a raggiungere il ponte romanico della Civera.