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Courtesy of Digital News
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L'uscita della Serie TV Sky Hanno ucciso l'Uomo Ragno ha – in qualche modo anche inaspettatamente – riportato sotto i riflettori gli 883, il duo formato originariamente da Max Pezzali e Mauro Repetto che, negli anni 90, stravolse almeno un paio dei concetti cardine alla base di quasi tutto il pop contemporaneo. Parliamo infatti di due compagni di banco di Pavia (a due passi da Milano ma alla periferia dell'Impero) che, non aderendo a nessuno degli stereotipi estetici che all'epoca andavano per la maggiore e, soprattutto, senza saper suonare alcuno strumento, riuscirono a diventare, quasi loro malgrado, l’epitome di un'intera generazione.
La serie – diretta da Sidney Sibilia (la trilogia di Smetto quando voglio e Mixed by Erry) e interpretata dai giovani Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, rispettivamente nei panni di Max Pezzali e Mauro Repetto – parla sostanzialmente di questo. Di due ragazzi che, almeno sulla carta, difficilmente avrebbero potuto farcela, e che invece ce l'hanno fatta. Ce l'hanno fatta eccome. Già il solo titolo della serie è di per sé un richiamo potente e immediato a un passato fatto di provincia, appuntamenti andati male, viaggi (quasi sempre mentali) e sogni di gloria. Ma perché proprio ora nasce questo bisogno di riscoprire gli 883, e cosa simboleggia il ritorno di quei suoni, quegli immaginari e quella spensieratezza?
Il racconto segue le vicende di questi due ragazzi di provincia mentre si destreggiano tra amori, amicizie e sogni di successo. I protagonisti della serie sono totalmente immersi in un contesto che, fotogramma dopo fotogramma, non fa che rievocare quel decennio, con riferimenti costanti alla cultura pop dell’epoca: dai giochi arcade ai negozi di videonoleggio, passando per il fenomeno (per fortuna passeggero) dei "paninari" che popolavano le strade delle città con i loro giubbotti colorati e le scarpe Timberland. Il titolo Hanno ucciso l'Uomo Ragno non solo richiama una delle canzoni più famose della band, ma diventa simbolo di una generazione in bilico tra la spensieratezza del post-liceo e le responsabilità incipienti che la vita adulta porta in dote. Un periodo di passaggio al quale, nonostante tutto, non si può non guardare con un misto di affetto e di malinconia.
Per capire l’importanza degli 883 è fondamentale contestualizzare ciò che hanno rappresentato nell'Italia di allora. Perché, più che una band, gli 883 furono una delle più plausibili narrazioni sociali dei giovani anni 90. Le loro canzoni, con testi semplici e diretti, andavano a costruire un universo condiviso fatto di amici, di amori acerbi, di vita di provincia e di una latente sensazione di inadeguatezza, tipica di chi si sente fuori posto ma lotta comunque per trovare un senso a tutto questo. In estrema sintesi, una sorta di "epica della sfiga" che ribaltava, per la prima volta e forse senza neanche volerlo, un paradigma costruito su decenni di modelli inarrivabili ai più.
Brani come Hanno ucciso l'Uomo Ragno, Gli anni, Nord Sud Ovest Est e Come mai dipingevano un'Italia ancora lontana dall’era digitale, dove l’identità giovanile si costruiva sul tragitto in motorino tra la cameretta e il bar, e le insicurezze si affrontavano tra amici, meglio se davanti a una birra scura. In una recente intervista, Pezzali stesso ha riconosciuto come le canzoni degli 883 abbiano rappresentato una forma di fotografia della generazione che si affacciava alla maturità in quegli anni. Erano canzoni che esprimevano il senso di appartenenza a una comunità fatta di piccole esperienze condivise, all'interno della quale molti si sentivano capiti e rappresentati. E questa autenticità è forse il segreto di un successo che – per alcuni inspiegabilmente – ha attraversato decenni.
È in ogni caso indubbio che, negli ultimi anni, il mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento abbia abbracciato un fenomeno di forte nostalgia per gli anni 90. Dalla moda ai videogiochi, dalle playlist ai programmi TV, sembra che il passato sia tornato con forza, facendo leva su quel desiderio collettivo di rivivere gli anni della giovinezza. Ed è proprio in questo contesto che il revival degli 883 non può non apparire come perfettamente naturale. E Hanno ucciso l'Uomo Ragno invita appunto a riflettere su questo senso di perdita e di riscoperta.
L’Uomo Ragno, metafora di un’innocenza forse perduta, rappresenta il mondo di quegli anni, in cui i problemi sembravano più semplici e i sogni ancora quasi tutti a portata di mano. Inoltre, è interessante notare come questa nostalgia si rivolga tanto alla generazione che quegli anni li ha vissuti, quanto alle nuove generazioni, curiose di un passato che conoscono principalmente attraverso film, meme e oggetti iconici. I ragazzi di oggi guardano a quegli anni come a un’epoca autentica, distante dall'iperconnessione e dalla conseguente saturazione tecnologica, apprezzando la semplicità e la freschezza di fenomeni musicali e culturali come gli 883.
La riscoperta degli 883 non rappresenta dunque solo un’operazione puramente nostalgica, ma riflette un bisogno più diffuso di autenticità, di identificazione con un vissuto che sia, almeno all'apparenza, genuino e reale. In Hanno ucciso l'Uomo Ragno, le vicende sono raccontate con una sensibilità che rimanda agli archetipi della provincia italiana, ai personaggi caratteristici che fanno da sfondo alla vita dei protagonisti. Le storie sono volutamente semplici ma, in questa semplicità, si nasconde la potenza di un messaggio universale. Le canzoni degli 883 riescono ad attraversare il tempo e le generazioni proprio grazie alla loro essenza semplice, incera. La loro musica, piena di una malinconia che non si nega sprazzi di speranza, è una sorta di finestra su un passato che, per quanto vicino, oggi sembra preistoria.
La serie smette così di essere un mero un omaggio alla musica e all’estetica degli 883, per diventare l’opportunità di riscoprire un’epoca che oggi può fungere quasi da terapia per gente disillusa. E la nostalgia degli anni 90 diventare un antidoto a certa frenesia del mondo moderno. Guardare Hanno ucciso l'Uomo Ragno è come fare un piccolo viaggio nel tempo, in un periodo in cui le cose sembravano più semplici, dove le relazioni erano più genuine – o almeno così ci sembra di ricordare – e il tempo scorreva senza la pressione dell’accelerazione digitale.
In questo senso, gli 883 rappresentano non solo un fenomeno musicale, ma anche una via di fuga verso un periodo che viene idealizzato come più semplice e più felice. Il loro ritorno sul piccolo schermo riaccende la fiammella di quei tempi e richiama un’Italia ormai lontana, ma ancora profondamente amata. In un'epoca di continui remake, reboot e riscoperta di miti passati, Hanno ucciso l'Uomo Ragno non è solo una Serie TV. È un inno alla nostalgia, un promemoria di come, ogni tanto, guardare indietro può aiutarci a vivere meglio anche il presente.