Serie TV

Le 20 Serie TV da vedere almeno una volta (seconda parte)

Una lista di gioielli intramontabili che hanno fatto la storia del piccolo schermo
A cura di   Fabio Giusti

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La sfida era di quelle ardue ma noi abbiamo voluto osare e, con questa seconda parte, addirittura rilanciamo. Sintetizzare in soli venti titoli le migliori serie TV della storia. Quelle, per intenderci, che più di tutte, negli ultimi anni, hanno cambiato radicalmente il nostro modo di approcciarci alla narrazione televisiva e alla sua grammatica in continuo movimento. Godetevi quindi la seconda parte della nostra lista di serie TV da vedere almeno una volta nella vita!

Black Mirror (2011-in produzione) - Netflix

Black Mirror è una serie TV firmata da Charlie Brooker che racconta ipotesi di futuri alternativi in cui l’evoluzione tecnologica ha destabilizzato la società e il singolo individuo, analizzando il rapporto tra essere umano e tecnologia in una chiave fortemente distopica. È stata trasmessa a partire dal 2011 sul canale britannico Channel 4 e, dalla terza stagione, su Netflix e, a oggi, conta sei stagioni compiute e un film interattivo, Bandersnatch, in cui è lo spettatore a prendere le decisioni per il protagonista. Diversamente dallo sviluppo orizzontale della tipica narrazione seriale, Black Mirror si affida a episodi autoconclusivi in cui i personaggi, i luoghi e le trame cambiano di puntata in puntata. È l’argomento portante a tenere uniti i puntini. Tutti i giorni ciascun essere umano si trova davanti allo schermo di un telefonino, di una TV o di computer; la nostra esistenza non può fare a meno di quello specchio che diventa nero (il Black Mirror del titolo appunto) quando smette di funzionare. È il lato oscuro del progresso ed è uno specchio dentro cui tutti si riflettono. Una dicotomia su cui si fonda l'intera serie – oltre che il meccanismo di innesco della maggior parte degli episodi – risiede nel fatto che l'uomo non sia fisiologicamente in grado di evolvere con lo stesso ritmo della tecnologia, venendo così in qualche modo eclissato dal progresso di ciò che egli stesso produce. In un'ottica più ampia, Black Mirror riflette – secondo i detrattori in maniera fin troppo pessimistica – su una tecnologia che diventa via via sempre più umana e sulla corrispondente perdita di umanità da parte dell’essere umano.

How I Met Your Mother (2005-2014) - Disney+

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How I Met Your Mother (in Italia E alla fine arriva mamma, ma nota anche con l’acronimo HIMYM) fa il suo debutto nel lontano 19 settembre 2005, per concludersi il 31 marzo del 2014, dopo ben nove stagioni e 208 episodi. Ideata da Craig Thomas e Carter Bays con l'intenzione di "scrivere sui nostri amici e sulle cose più stupide che abbiamo fatto a New York", How I Met Your Mother è considerata da molti come l’erede naturale della serie TV di culto anni novanta Friends. Il plot è incredibilmente basilare ed è già tutto nel titolo. Nel 2030 un padre racconta ai suoi due figli adolescenti la catena di eventi che, venticinque anni prima, lo hanno portato a conoscere quella che sarebbe diventata la loro mamma. La narrazione diventa così una sorta di monumentale flashback che ripercorre i fatti dal 2005, senza mai perdere di vista gli elementi di collegamento tra passato e futuro, coesistenti nel presente. Per quanto possa sembrare articolata e complessa, l’idea funziona alla grande e la serie diventa ben presto un successo. Uno dei motivi per i quali How I Met Your Mother è così amata da tante e diverse generazioni ha senz'altro a che fare con la sua capacità di mostrare uno spaccato di situazioni, emozioni e reazioni con cui tutti potenzialmente potremmo fare i conti. E tutto viene affrontato sempre con una sfumatura leggera, a suggerire come, alla fine, tutto si possa sempre (più o meno) sistemare. How I Met Your Mother è insomma una celebrazione gioiosa della vita, che non finisce affatto una volta trovata l’anima gemella. Ché trovare la persona giusta non è mica un punto di arrivo, ma solo l’inizio di un nuovo percorso.

Il trono di spade (2011-2019) - NOW

Venerata, contestata, sviscerata, parodiata, Il trono di spade ha rappresentato un fenomeno televisivo e mediatico senza precedenti. Una pietra miliare produttiva di cui, a distanza di ormai quasi cinque anni dalla messa in onda del suo discusso finale, si continua a parlare. Tratta dai romanzi di George R. R. Martin (meglio noti come Le cronache del ghiaccio e del fuoco), la serie HBO creata da David Benioff e D.B. Weiss, segue le vicissitudini di numerosi personaggi, appartenenti a diverse famiglie, in lotta fra loro per arrivare al Trono di Spade e diventare re dei Sette Regni. L’ambientazione è un mondo immaginario di area dichiaratamente fantasy all'interno del quale, alle lotte di potere, si aggiunge anche la minaccia di un inverno diverso dal solito che sta per arrivare – quel “Winter is Coming” diventato rapidamente un generatore di meme – e che porterà al risveglio di forze oscure da tempo dimenticate. Il trono di spade resta uno dei più importanti titoli del panorama televisivo contemporaneo, capace di catturare un fandom globale grazie a una narrazione, intricata e corale, che porta i personaggi ad agire in parallelo in luoghi diversi, secondo forze centrifughe e centripete che li avvicinano e allontanano di continuo. L’autore della saga, inoltre, è un forte sostenitore di un approccio di scrittura improntato sulla rottura delle regole narrative, in cui anche i protagonisti che sembrano fondamentali per l’avanzamento diegetico possono morire all'improvviso di una morte orribile. Questo è uno dei maggiori fattori di rottura tra Il trono di spade e tutte le serie TV che l'hanno preceduta. L'aria che si respira è infatti quella dell'incertezza, che aumenta la suspense, facendo percepire che nessuno è al sicuro.

Peaky Blinders (2013-2022) - Netflix

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Quando Steven Knight ha ideato Peaky Blinders certo non poteva immaginare che, questo dramma in costume dai toni gangster, avrebbe percorso una strada tutta sua, passando alla storia come una delle serie TV britanniche più amate di sempre. Ambientato nel quartiere di Small Heat a Birmingham (benché sia stato girato per lo più a Liverpool) nell’Inghilterra post-Grande Guerra, lo show narra le sanguinarie vicende della "banda con i cappelli dalle visiere appuntite" e del suo carismatico boss Thomas Shelby, incarnato dall'attore Cillian Murphy, di recente star di Oppenheimer. Nell'arco di sei stagioni, attraverso una cura maniacale nella costruzione delle ambientazioni, del contesto storico e delle tradizioni, il regista è riuscito a trasmettere alla serie tutta la complessità psicologica dei suoi personaggi. Sono loro (e i loro magnifici interpreti) il vero punto di forza di Peaky Blinders. Attraverso la trasformazione e la scalata sociale di Thomas Shelby, dei suoi fratelli Arthur, John, Ada e Finn, e della zia Polly Gray (una fantastica Helen McCrory), prende forma davanti ai nostri occhi anche il cambiamento dell’Inghilterra e del mondo. È la storia della ricerca di una redenzione dopo il male indicibile della guerra. È il folle tentativo di cambiare il mondo diventando parte dei suoi meccanismi corrotti. Una serie TV corale, in cui la speranza dei primi episodi alla fine si trasforma in disillusione, in morte e disincanto. E nella presa di coscienza di un cambiamento che non può avvenire.

The Crown (2016-2023) - Netflix

La serie TV creata da Peter Morgan (autore già avvezzo a ritratti reali come nel caso di The Queen con Helen Mirren) debutta nell'ormai lontano 2016 diventando subito un fenomeno globale. Mai il racconto della monarchia britannica, e soprattutto della vita della regina Elisabetta, era stato raccontato sullo schermo con tanto pathos, preziosità produttiva e, soprattutto, ingegno narrativo. Fin da subito The Crown si è imposto come lo standard qualitativo di un nuovo tipo di serialità di pregio, che non lesinava di coraggio né di budget per affrontare con qualità, realismo e arguzia alcuni dei temi di più scottante attualità. Perché, lo si voglia ammettere o meno, la Corona d'Inghilterra è ancora oggi e forse mai come oggi sulla bocca di tutti. Anche grazie a questa serie. Nonostante lo scivolamento verso il presente e gli scandali più cocenti della monarchia (per fortuna ci si è fermati molto prima della faccenda Meghan e Harry), The Crown rimane una serie dal fascino indiscutibile. E, sebbene abbia tradito in qualche modo la promessa di partenza, quella cioè di mostrarci un lato umano e inedito di una sovrana altrimenti lontana e iconica, rimane in ogni caso una serie dalla fattura insuperabile. Negli anni in cui queste sei stagioni sono state trasmesse poche altre produzioni seriali hanno avuto la stessa intensità narrativa, la stessa ricchezza nella riproduzione di costumi, location e paesaggi, la stessa cura per un racconto che non solo doveva sembrare reale (nella doppia accezione, se vogliamo, di vero e di regale), ma doveva anche esserlo.

La casa di carta (2017-2021) - Netflix

Flickrs - Photo by Budiey

Un uomo estremamente meticoloso (ma per nulla violento) ordisce un piano geniale per svaligiare la Zecca spagnola. Per procedere, raccoglie un gruppo eterogeneo di soggetti, tutti in grado di fornire una qualche specifica capacità; quindi procede con la strategia ideata, gestendo il tutto in remoto. La serie TV più importante nella storia della televisione spagnola ha avuto un percorso condizionato dal successo incredibile della sua prima parte, considerato un vero e proprio caso mediatico. Dall’essere immaginata infatti come una stagione unica, è stata in qualche modo allungata fino a tre dalle esigenze dello show business, che ne ha immediatamente intuito la forte presa sul pubblico. E con merito, poiché la prima stagione è un congegno ad orologeria praticamente perfetto. Il ritmo è serrato, i personaggi tutti azzeccati, la capacità di creare imprevisti e la loro medesima soluzione non dà modo di sganciarsi dalla visione e trascina nel vortice degli eventi. Senza contare la furbizia del suo ideatore, Álex Pina, che ha finito col tratteggiare i principali criminali come figure fondamentalmente accattivanti, là dove la polizia risulta invece odiosa e boriosa. I personaggi, dunque, finiscono con il restare impressi, a partire dal Professore – un Álvaro Morte fino a quel momento non particolarmente noto – e la sua montatura Persol, i suoi gesti reiterati (quel pugno esibito durante le spiegazioni, col pollice in evidenza) e la rapida capacità di pensiero. Purtroppo, come spesso capita, La casa di carta rappresenta uno dei casi in cui la necessità di distendere la storia, come l’impasto di una pizza, non ha giovato alla saga.

House of Cards - Gli intrighi del potere (2013-2018) - Netflix

Il personaggio più cinico della serialità contemporanea, Frank Underwood, è indiscutibilmente il nuovo archetipo dell'antieroe. Quello per cui tutto è sacrificabile in nome della scalata ai vertici del potere, e per guadagnarsi un posto apicale nel mondo. E la prima scommessa vinta del canale di streaming Netflix che, proprio con House of Cards, ha inaugurato un nuovo corso del sistema televisivo. Creatura di Beau Willimon (già sceneggiatore de Le idi di Marzo), House of Cards nasce dall'ibridazione tra una miniserie omonima degli anni 90 andata in onda sulla BBC che raccontava il post-thatcherismo e il romanzo di Lord Michael Dobbs da cui, a sua volta, era tratta. Dobbs, con il suo passato da consigliere di Margaret Thatcher e membro del partito conservatore, di certo sapeva come rappresentare l'intrigo politico, e Willimon ha dimostrato altrettanta capacità nel reinventarlo in funzione di una serie di più ampio respiro, moderna e per niente edulcorata. Dunque, con nomi altisonanti come quello di David Fincher in veste di produttore esecutivo della serie (e regista delle prime due puntate) e Kevin Spacey come protagonista (quasi) assoluto, House of Cards debutta nel febbraio del 2013 su Netflix, all'epoca emergente e misconosciuto ai più canale di streaming online on demand. La prima stagione, lunga tredici episodi, viene diffusa sulla piattaforma per intero, dando così allo spettatore la possibilità di misurarsi con la compulsività da serial e battezzando con successo la pratica del binge watching. Oltre a inaugurare, di riflesso, una nuova era per il sistema televisivo.

Stranger Things (2016-in produzione) - Netflix

Flickr - Photo by Budiey (Courtesy of Netflix)

Stranger Things può essere considerata come una delle operazioni televisive di maggior successo della serialità contemporanea, tanto da guadagnarsi lo status di serie di culto già poche settimane dopo la sua comparsa su Netflix. La serie creata dai Duffer Brothers punta in maniera sostanziale su quello che, per amore di sintesi, chiameremo “effetto nostalgia”. La vicenda è infatti ambientata in pieni anni 80 nella fittizia cittadina di Hawkins (Indiana), fortemente debitrice, in termini di suggestioni letterarie, dello stile di Stephen King. A questo si aggiunga poi un'attenzione maniacale per i dettagli che rimandano alla cultura pop dell'epoca, dal look dei personaggi alla ricostruzione degli ambienti, passando per una colonna sonora che mescola abilmente successi del periodo a una soundtrack originale che, a quel periodo, comunque si rifà e che contribuisce all’atmosfera sottilmente inquietante che pervade gran parte della serie. Il sapore vintage è quindi sicuramente uno degli ingredienti che ha decretato il successo di Stranger Things tra gli spettatori che erano adolescenti nell’epoca in cui è ambientata la serie, cresciuti a pane e Goonies, Ritorno al futuro, E.T. e Terminator. Ad essa va riconosciuto il merito di aver saputo parlare a un pubblico trasversale, riunendo davanti allo schermo genitori e figli e soddisfacendo le aspettative di entrambi con un sapiente mix di generi (fantascienza, horror, dramma adolescenziale, comedy) e con un cast corale che va a coprire tre fasce di età. Il successo di Stranger Things è stato, a tutti gli effetti, uno dei motivi che hanno reso Netflix quello che è ora. Basti pensare che, meno di due anni fa, il rilascio degli ultimi episodi della quarta stagione causò addirittura un crash dei server.

True Detective (2014-in produzione) - NOW

Uno dei tanti gioielli di cui spesso ci si dimentica, pensando alla vasta collezione di successi della HBO, è True Detective. La serie antologica ideata da Nic Pizzolatto è uno dei capisaldi moderni del genere crime: cast stellari, fotografia curata nei minimi dettagli e riferimenti letterari davvero azzeccati. True Detective esordì con il botto nel 2014 e, dopo dieci anni, sta per arrivare al suo quarto rinnovo, che vedrà protagoniste Jodie Foster e Kali Reis. Ma il successo di questa serie è dovuto, in gran parte, proprio alla sua prima stagione, interpretata da due assoluti pesi massimi come Matthew McConaughey e Woody Harrelson, tra cui già era evidente la nota chimica che li accomuna. La prima stagione di True Detective è stata un vero e proprio uragano che ha travolto il mondo della serialità, rendendo unica la narrazione di un crimine sconvolgente che viene assorbito dai due protagonisti e sviscerato in un clima di totale nichilismo e pessimismo nei confronti dell’umanità. E forse è vero, come sostengono moltissimi suoi fan, che la serie HBO non è più riuscita a eguagliare con la stagioni successive i picchi narrativi della prima, ma vista la qualità della prima stagione è davvero complesso pensare di bissare un successo simile, destinato a restare un punto fisso nel panorama del crime moderno. Che chiunque dovrebbe assolutamente vedere, almeno una volta nella vita.

Gomorra - La serie (2014-2021) - NOW

Flickr - Photo by dragonworldteam

La serie TV tratta dall'omonimo best seller di Roberto Saviano Gomorra, si distingue, senza alcun timore di smentita, come il prodotto di fiction nazionale più importante degli anni Duemila. Immersione cruda e senza compromessi nel sottobosco del crimine organizzato a Napoli, Gomorra è forse una delle poche serie TV italiane che, alla luce della sua attitudine a “costruire un mondo”, è anche in grado di edificare un immaginario. Lo fa grazie alla descrizione degli ambienti, degli esterni degradati (come le tristemente note “vele” di Scampia) così come degli interni ultra-kitsch (tutti ricordiamo la casa di Imma e Pietro Savastano, tutta ori e stucchi). Spazi domestici e codici del vestiario che resteranno per sempre a descrivere l’immaginario malavitoso e camorristico. Altro aspetto distintivo di Gomorra è la sua capacità di narrare le intricate trame di potere e violenza che caratterizzano la vita nelle periferie di Napoli e di creare personaggi complessi e sfumati. La regia di Stefano Sollima è altrettanto degna di nota, con quella fotografia così cruda e livida, che fa decisamente a pugni con la Napoli più comunemente oleografica e da cartolina, e una colonna sonora (dei Mokadelic) sempre tesissima, che amplifica l'atmosfera tesa della narrazione. La serie sfrutta efficacemente l'ambientazione urbana di Napoli, mostrando una città che, piuttosto che fungere da semplice sfondo cupo e oppressivo per le vicende dei personaggi, assume una valenza diegetica, fino a diventare l'unica vera prigione dalla quale questi provano invano a uscire. A patto che si sia disposti a immergersi in un mondo oscuro e senza compromessi, Gomorra offre uno straordinario viaggio nel cuore nero della criminalità organizzata.

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