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Shutterstock. Photo by Ariel Celeste
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Shutterstock. Photo by Ariel Celeste
Il filosofo greco Diogene di Sinope, vissuto tra 400 e 300 a.C., era tanto ostile alla mondanità e al lusso, per lui quintessenza del superfluo nella vita umana, da essersi ritirato spontaneamente in una botte a cielo aperto, in cui abitava al riparo dalle convenzioni e dal contatto tra gli uomini, persuaso che tanto bastasse per una piena esistenza. Randagio, svincolato da legami e usi socialmente accettati, non stupisce che sia stato tra i fondatori della scuola cinica, di cui era considerato l’autentico paradigma (“Il Cinico” per antonomasia). Allo stesso modo, non è un caso che Diogene sia anche il nome di un esperimento abitativo – assai riuscito – firmato dal celebre architetto Renzo Piano: una casa in legno ridotta all’essenziale, che, come il rifugio dell’antico pensatore, mira a rappresentare un luogo di ritiro volontario, dotato, in soli 7,5 metri quadrati, di tutte le funzioni necessarie per il suo solitario inquilino. Diogene, il cui sofisticatissimo progetto risale al 2003 (mentre l’installazione al Vitra Campus di Weil am Rhein in Germania è di 10 anni successiva), è una perfetta sintesi tra arte e tecnica, efficienza e longevità. Dal tetto a doppio spiovente che richiama l’archetipo dell’abitazione umana, ossia la capanna, riadattata per trasformarsi in infallibile modello contemporaneo di bioedilizia, questo gioiellino di opera ingegneristica è considerato oggi un esempio virtuoso di tiny house, o micro-casa. Si tratta di una tendenza d’oltreoceano che, sbarcata in Italia, ha trovato in Piano uno dei primi estimatori, per poi incontrarne altri in gran numero lungo la Penisola.
Quella delle tiny house non è, quanto meno in partenza, una questione di estetica – senza nulla togliere al fascino di alcune di queste realtà. Nata dall’omonimo movimento statunitense, il Tiny House Movement, che dal primo decennio del 2000 promuove la riduzione e la semplificazione degli spazi abitativi, la vocazione alla piccolissima scala si configura come un vero e proprio stile di vita che guarda piuttosto all’etica. A essere in primo piano sono infatti la connessione con la natura (fonte di felicità, secondo la dottrina cinica di cui si era accennato) e l’attenzione alla sostenibilità – da cui i materiali green e riciclati con cui sono realizzate le strutture: il modulo minimo si qualifica così come un invito alla moderazione che si sposa con il desiderio di libertà individuale. L’uomo diventa unità di misura di un nuovo modello dell’abitare, in cui forma e sostanza coincidono.
Dal punto di vista funzionale, si tratta di abitazioni completamente indipendenti, ma dalle dimensioni molto contenute, da 8 a massimo 40 metri quadri. Possono essere fisse, sul suolo o anche sugli alberi, oppure mobili, sospese perfino sul mare grazie a galleggianti. Resistono alle intemperie e sono autosufficienti, in grado di produrre energia traendo le risorse dall’ambiente circostante; dispongono di non oltre due stanze e, nonostante gli ambienti ridotti, risultano confortevoli, perché sfruttano in maniera intelligente ogni centimetro a disposizione, mettendo al bando l’accessorio. Dal design, dunque, assolutamente minimal, le tiny house hanno spopolato all’estero, ma stanno guadagnando sempre più terreno anche in Italia, come alloggi turistici o unità abitative temporanee. L’inevitabile provvisorietà della permanenza deriva dal fatto che, per quanto efficienti, le quattro mura non possono soddisfare integralmente le esigenze della vita dell’uomo: così le micro-case offrono anche un'opportunità per ripensare la relazione tra singolo e comunità.