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Nella vasca di deprivazione sensoriale con la Floating Therapy

L’abbiamo vista in Stranger Things, vi spieghiamo come funziona
A cura di   Barbara Balestrieri

Shutterstock by MilanMarkovic78

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Nell'acclamata serie Stranger Things, la protagonista Undici si immerge in una vasca chiusa e colma di acqua salata per massimizzare i suoi poteri telecinetici e accedere allo spaventoso Sottosopra. Ora, non in molti sanno che fuori dalla (irresistibile) finzione targata Netflix, una simile vasca non soltanto esiste, ma è supportata dalla scienza, da un concetto in particolare, che ha avuto fortuna anche sul piccolo schermo: la deprivazione sensoriale, una tecnica che prevede l’isolamento da tutti gli stimoli esterni, come la luce, il suono, il tatto e la gravità.

Scienza dietro la fantascienza

La deprivazione sensoriale funziona attraverso l’immersione completa in una vasca a guscio di vetroresina, sigillata con un coperchio insonorizzato, e piena di acqua salata a 36-37 gradi, in un ambiente completamente silenzioso e buio. Mentre in Stranger Things la vasca ha risvolti sovrannaturali, nel mondo reale la deprivazione sensoriale è studiata e utilizzata con finalità più terrene – ma con successo ugualmente straordinario –, come la riduzione dello stress e dell’ansia, l’aumento della creatività, il miglioramento della concentrazione e il sollievo dal dolore. Isolare il corpo e la mente da ogni stimolo esterno permette infatti di raggiungere uno stato di profondo rilassamento, inducendo il rilascio di endorfine, gli ormoni del benessere; favorisce poi una maggiore propensione all’associazione di idee e di immagini mentali, e, secondo alcune ricerche, aiuta ad alleviare la sofferenza fisica cronica. Non stupisce allora che il “floating” – questo il termine ufficiale per descrivere la pratica – sia riconosciuto, sin dagli anni '50, come vera e propria forma di terapia, particolarmente valida per gli sportivi in attività agonistica che hanno necessità di ottimizzare le prestazioni e rilasciare le tensioni muscolari.

Si galleggia senza sforzo a 25-30 centimetri di profondità, fino a perdere la percezione dei confini corporei e, in assenza di qualsivoglia elemento di disturbo, l’esperienza soggettiva risulta intensificata. Durante la sessione nell’acqua il cervello può infatti produrre onde cerebrali associate allo stato onirico, alla meditazione profonda e alla trance. Superati i timori iniziali, con il solo respiro a scandire i minuti che passano, a prospettarsi è quindi un viaggio sospeso – letteralmente – tra realtà e sogno.

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