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Cinque intramontabili giochi da tavolo

Da Monopoly a Dixit, i classici a cui nessuno riesce a dire di no
A cura di   Barbara Balestrieri

Shutterstock by pio3

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Per gli Egizi, nel 3000 a.C., era il Senet, che prendeva forma sulle tombe dei faraoni grazie a tante caselle, dadi e pedine; per i Sumeri, nell’antica Mesopotamia, era il gioco reale di Ur; per gli africani, invece, il Mancala. Che il gioco sia fondativo per la cultura umana – basti pensare al concetto di homo ludens – trova riscontro in una storia che affonda le radici nelle origini della civiltà, quando i passatempi erano rudimentali, tra semi, pietre e tabelloni improvvisati, mutevoli di realtà in realtà, eppure manifestazione di uno stesso linguaggio universale: il divertimento. Di strada poi, di pari passo con l’evoluzione di usi e costumi della società, ne hanno fatta, fino a risolversi in un caleidoscopio di forme e varianti, alcune di rara complessità (lo confermano i moderni manuali delle istruzioni, che richiedono sempre più spesso lettori coraggiosi e animati da buona volontà). Vediamo ora quali sono quelli che hanno contribuito a definire il concetto stesso di gioco da tavolo, capaci di appassionare, ma anche far animatamente litigare, da decenni generazioni di sfidanti; quelli a cui nessuno, nonostante lo spauracchio di partite infinite e strategie non sempre limpidissime, riesce a dire di no. In una parola, gli intramontabili.

Monopoly

Monopoly. Photo by Amazon

Alzi la mano chi non si è trovato, almeno una volta, a implorare la clemenza dei ricchi proprietari di alberghi, un tempo amici, allo sciagurato passaggio sulle caselle viola del Monopoly. Gioco di società basato sul commercio immobiliare e, di fatto, plastica rappresentazione del capitalismo, Monopoly continua a registrare consensi sin dalla sua nascita, nel 1935. Da allora i giocatori cercano di acquisire il maggior numero possibile di proprietà per farle fruttare e far crescere così il loro impero. Regole semplici, strategia, contrattazione e un pizzico (o anche due) di fortuna costituiscono la popolarità di un gioco da tavolo oggi disponibile in un’infinità di edizioni tematizzate. Elencarle tutte sarebbe impossibile, noi vi rimandiamo all’originale – che non stanca mai.

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Scarabeo

Scarabeo. Photo by Amazon

Un altro superclassico dal 1948, adatto a tutte le fasce d’età, che consiste nel formare parole incrociate su una plancia quadrata con 156 caselle, suddivise in una griglia, utilizzando tessere con lettere. Attenzione, perché le meno comuni fanno volare alto il punteggio in quella che, a tutti gli effetti, è una sfida linguistica a pieno titolo, per cui più le parole sono ricercate maggiore è la probabilità di vittoria. Sostenuto dalla capacità creativa dei giocatori, Scarabeo è un’ottima occasione per impreziosire il vostro vocabolario – ma occhio alle lealtà degli avversari: se una parola proprio non vi suona è perché probabilmente non esiste, nonostante stiano cercando di convincervi del contrario.

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Scacchi

Scacchi. Photo by Amazon

Non hanno certo bisogno di presentazioni, perché gli scacchi sono la quintessenza della strategia e, nonostante le origini antiche (VI secolo d.C.) e la diffusione globale che ha dato forma a oltre 200 varianti, non hanno mai perso smalto. I 32 pezzi bianchi e neri, che nella versione ortodossa sono rigorosamente divisi in 6 tipi, ossia pedone, torre, alfiere, cavallo, regina e re, si muovono sulle 64 caselle con un unico obiettivo: dare scacco matto – espressione, quest’ultima, mutuata dal persiano “Shah Mat”, vale a dire “il re è finito”. Appannaggio per lungo tempo delle classi agiate, ma soprattutto aristocratiche e dirigenti che si cimentavano in partite interminabili, gli scacchi arrivano dall’India in Europa grazie alla Via della Seta e alle rotte musulmane, assumendo tratti sempre più riconoscibili e moderni. E se nell’Ottocento prende vita il primo torneo internazionale conosciuto, durante la Guerra Fredda le sfide si trasformano in una vera e propria battaglia politica, vinta a più riprese dai campioni dell'Unione Sovietica. A dimostrazione del loro rilievo, dal 1927, ogni due anni, si disputano delle vere e proprie Olimpiadi dedicate. Insomma, guai a chiamarlo solo gioco.

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RisiKo!

RisiKo. Photo by Amazon

Galeotta fu la Kamchatka. Sì, perché l’attacco dei carrarmati colorati a quella piccola penisola strategica è da sempre foriero di tensioni, se non imminenti crisi, per gli strateghi di RisiKo. Una sorta di passaggio obbligato per ogni partita che si rispetti (e che di lì a poco generalmente si esaurisce). Dal 1957 i giocatori vestono i panni di comandati di eserciti per conquistare territori e dominare il mondo rappresentato sul tabellone, sfoderando le armi della diplomazia, indispensabili per gestire i numerosi imprevisti che si verificano nel corso delle lunghe – ed è un eufemismo – sfide, in perenne e irresistibile equilibrio tra intelligenza e fortuna. La conditio sine qua non, va da sé, è la capacità di avere un lungimirante sguardo d’insieme, così da anticipare il nemico.

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Dixit

Dixit. Photo by Amazon

E dopo tanta strategia, spazio alla creatività, che qui regna sovrana. Più recente rispetto agli altri (2009), Dixit è riuscito a entrare nel novero dei classici reggendosi sul perfetto connubio tra associazione di idee e inventiva portato avanti dai giocatori, che, a turno, assumono il ruolo di narratori e descrivono le carte oniriche e surreali in loro possesso con frasi evocative, nel tentativo di far indovinare (ma non troppo, pena l’annullamento dei punti) agli avversari di quale immagine si tratta. Sul tavolo viene a formarsi un mosaico suggestivo, formato dalle carte di tutti i partecipanti, che scelgono quella che più si adatta all’indizio fornito dal narratore prima di procedere al voto. Alla fine, vince chi indovina di più. È un gioco in cui la soggettività la fa da padrone, il che potrebbe destare qualche malumore tra i più competitivi, ma se avete voglia di esprimervi e magari sentite di avere anche un animo poetico, allora Dixit è una garanzia.

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