Food & Drink

I cinque piatti imperdibili della cucina salentina

Dalle pittule al pasticciotto, i simboli di una terra tutta da gustare
A cura di   Fabio Giusti

Shutterstock - Photo by Katrinshine

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Shutterstock - Photo by Katrinshine

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Il Salento e la Provincia di Lecce sono indiscutibilmente terre tutte da gustare. Luoghi che, quasi dal nulla, hanno fatto scaturire piatti oggi considerati eccellenze alimentari, squisiti sia nelle sere d’estate con una vista mare o seduti nella “corte” di un antico palazzo, che con un calice di Primitivo o Negramaro accanto al fuoco, in inverno. La peculiarità della cucina tipica salentina è di essere sostanzialmente povera, ma al contempo gustosa: pasta, grano, verdure, ortaggi, pesce di piccolo taglio e porzioni di carni non pregiate erano infatti le protagoniste delle mense di contadini, pastori e pescatori. La pasta e il pane erano costituite da cereali poveri: orzo, farro e segale coi quali venivano impastati pane e pasta. Le verdure e gli ortaggi erano preponderanti, così come i legumi e l’olio extravergine di oliva.

Annate di scarso raccolto hanno portato i salentini a conoscere e a stimare le cosiddette “verdure selvatiche“ che, in mancanza d’altro, hanno costituito in molti casi un pasto alternativo o di sussistenza vera e propria. Il pesce e le carni, specie quelle pregiate, del resto erano per le mense dei signori, così come pure il latte ed i formaggi. La prevalenza di piatti tipici della dieta mediterranea in Salento non deve però lasciarci pensare che manchino le specialità di mare o quelle con la carne: anche se costituite da parti, pezzi o specie che non venivano consumati sulle mense più altolocate spesso e volentieri hanno costituito – quando ve ne era possibilità – una preziosa integrazione calorica per gente abituata da sempre ai lavori in campagna, con gli animali o nei due mari che contornano la Penisola Salentina.

Scopriamo quali sono i cinque piatti immancabili della cucina salentina. Lasciatevi trasportare dagli odori e dai sapori, e che l’esperienza abbia inizio.

Le pittule

Shutterstock - Photo by Daniele RUSSO

Piccole, tondeggianti ma dalla forma naturalmente irregolare, le pittule rappresentano la tradizione e il gusto della cucina locale, quella da preparare con pochi e genuini ingredienti. Sono note anche come pettole o popizze, e appaiono come palline di pasta di pane lievitata, fritte in olio bollente e servite ben calde. Ergo: farina, lievito, acqua e sale. Facile no? La versione “base” prevede che le pittule siano fritte così, al naturale. Le versioni più ricche, evolute e golose (ma pur sempre tradizionali), prevedono invece che all’impasto siano aggiunti pezzettini di cavolfiore, di cime di rapa, oppure alici, capperi o, ancora, baccalà.

Secondo una prima teoria le origini delle pittule sarebbe da collegare alle emigrazioni dall'Albania, durante il XV secolo, tanto da risultare molto simili alle omonime petullat con una diffusione capillare in Puglia ma anche nel resto del sud Italia. La teoria più accreditata, invece, ne riconduce la genesi a una disattenzione culinaria, messa in atto da una massaia intenta a preparare il pane. La donna, durante la notte di Santa Cecilia, lasciò lievitare l'impasto del pane troppo a lungo perché distratta dalla musica degli zampognari, ovvero dei pastori abruzzesi di passaggio dai territori pugliesi durante la rituale transumanza del bestiame.

Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha inserito le pittule tra i prodotti agroalimentari tipici della regione Puglia, pertanto se vi trovate in vacanza in Puglia non potete esimervi dall’assaggiarle.

Ciceri e Tria

Flickr - Photo by Luca Bove

Ciceri e tria sono un primo piatto tipico della tradizione salentina a base di ceci e pasta di semola di grano duro. La particolarità è nella cottura della pasta che viene in parte fritta e in parte bollita. Questo cibo ha una storia lontana, visto che già nel 35 a.C. il poeta latino Orazio ne parlava nei suoi scritti. Per la precisione, infatti, nelle Satire il poeta manifestava apertamente il suo piacere nel tornare a casa e gustare “i ceci con le legane”. Questa parola veniva utilizzata per indicare la pasta tagliata a strisce. Ciceri e tria è un piatto che oggi viene preparato con regolarità durante tutto l’anno, mentre in passato secondo la tradizione erano cucinati con maggiore frequenza in prossimità del 19 marzo, festa del papà.

Per quanto riguarda l'etimologia della parola, Tria deriva dall’arabo “itryah”, che significa pasta secca o fritta. Questo perché, durante la colonizzazione della Sicilia, i soldati dell’esercito arabo erano soliti consumare questo tipo di pasta corta e secca, che ben si conservava durante gli spostamenti. Mentre “ciceri” è il modo comune di dire “ceci” nel dialetto salentino, Ciceri e Tria non è l’unico nome con cui è stato battezzato questo piatto. Infatti, in dialetto salentino si chiama anche "lajana e ciceri", "massaciceri" o "massa di San Giuseppe". 

Le bombette

Shutterstock - Photo by Massimo Todaro

Uno dei secondi piatti salentini che tutti dovrebbero conoscere e assaggiare almeno una volta nella vita sono le famose bombette pugliesi. Per quanto il nome bizzarro possa suggerire immaginari vagamente bellici, le bombette pugliesi non sono altro che involtini di carne fresca di maiale ripieni di formaggio, sale e pepe. Fondamentale, per la riuscita di questi involtini, sono le dimensioni, che non devono superare i 3-5 cm di lunghezza. La vera bombetta, infatti, deve essere mangiata in due morsi al massimo, per questo è considerata la regina dello street food made in Puglia (ma conosciuta e apprezzata anche oltre i confini regionali).

La denominazione è legata all’esplosione di sapore che si prova mangiandoli e soprattutto assaporandone il ripieno reso gustoso dal formaggio: solitamente si utilizza il Caciocavallo Podolico del Gargano, re dei formaggi pugliesi, una vera prelibatezza. Ci sono diverse varianti di questo prodotto tradizionale che riguardano il ripieno: agli ingredienti base, capocollo e caciocavallo, si può scegliere se aggiungere anche la pancetta (con cui in alcuni casi si avvolgono gli involtini), il prezzemolo e/o altre spezie.

Questi involtini sono tradizionalmente cotti nei fornelli delle macellerie e delle bracerie, ma in alternativa si possono cuocere sulla griglia o in forno, ma anche al sugo.

I “pezzetti de cavaddrhu” (pezzetti di cavallo)

Shutterstock - Photo by Julia Ahanova

In Salento pronunciare l’intero nome è in realtà superfluo: basta infatti fermarsi alla parola "pezzetti" per capire perfettamente di cosa si sta parlando. I pezzetti al sugo, cotti lentamente all’interno di una “pignata” (una pentola in terracotta, ideale per cucinare sul fuoco del camino), sono uno dei piatti più antichi e tradizionali della cucina salentina. La storia di questo appetitoso secondo di carne pare risalga infatti addirittura al 1300, con l’arrivo dei gitani nel Salento.

Non c’è festa o sagra paesana che non contempli nei menu questa prelibatezza, dato che si presta ad essere un ottimo companatico con cui farcire un fragrante panino, da gustare sotto la luce sfavillante delle luminarie. Immancabile, anche nelle trattorie, negli agriturismi o nei ristoranti che propongono questa specialità del territorio. I pezzetti di carne, di solito di cavallo, nota per essere ricca di ferro e poco calorica, nel Salento sono un’istituzione, che ha mantenuto intatta nel tempo un’importante caratteristica: la carne deve essere assolutamente tenera, al punto da sciogliersi in bocca. Solo così si può dire di aver assaggiato i veri “pezzetti di cavallo” salentini, fatti come tradizione comanda.

Il pasticciotto leccese

Shutterstock - Photo by Katrinshine

Se mangiare dolci è una delle gioie della vita, mordere il pasticciotto leccese è la ciliegina sulla torta di una vacanza nel Salento. Un dolce piccolo e perfetto, con pasta frolla ripiena di crema pasticcera, fragrante fuori e morbido dentro. La storia è di quelle belle che ci fanno apprezzare ancora di più la cucina italiana: il pasticciotto leccese è nato per caso, per non sprecare nulla. E se non ci fosse stata la maestria e la creatività del pasticciere di Galatina (paese alle porte di Lecce) Nicola Ascolone probabilmente non staremmo nemmeno a parlarne. Fu lui che, nel giorno di San Paolo del 1745, per addolcire la giornata dei fedeli arrivati in Paese per la festa del patrono delle tarantate, pensò di mettere insieme gli ingredienti che gli erano avanzati dopo una giornata di lavoro creando questa piccola meraviglia con degli stampini ovali.

Almeno, questo racconta la leggenda più accreditata: c'è anche chi racconta che Ascalone preparò quel dolce un po' controvoglia e per caso, in un giorno qualunque, e che lo regalò al parroco del paese, che ne rimase così estasiato da fargli la pubblicità che ha fatto poi la sua fortuna. Quel che è certo è che fu un "pasticcio" secondo Ascalone: da qui il nome "pasticciotto". 

 

 

 

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