Food & Drink
Courtesy of Ritual Lab
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Courtesy of Ritual Lab
Sono le passioni a muovere l’anima. E a far nascere le idee. Quella del birrificio artigianale Ritual Lab è una storia di passione: per la birra, per l’arte, per la creazione. Si trova appena fuori Roma e sembra più una galleria d’arte che un birrificio. In parte, lo è. Ogni giorno al suo interno vengono prodotte birre artigianali, di tantissime tipologie differenti, che sfidano i canoni classici e puntano a un’esperienza di degustazione fuori dall’ordinario. Al punto da vincere l’edizione 2024 del Birrificio dell’anno, il concorso organizzato da Unionbirrai che premia le migliori birre artigianali d’Italia e decreta il birrificio dell’anno. Ritual Lab, già vincitore delle edizioni 2020 e 2022, nel 2024 si è portato a casa 6 premi, di cui 5 medaglie d’oro, nelle 45 categorie della competizione. Oltre al premio come miglior birrificio 2024. Ma Ritual Lab, prima di diventare ciò che è ora, ha avuto una sua storia peculiare: una di quelle vere, che fanno credere che, grazie alla passione e alla tenacia, un’idea, un progetto possono davvero diventare realtà. A raccontarci la sua storia è Giovanni Faenza, mastro birraio e fondatore del birrificio insieme al padre Roberto.
Per noi la nascita di Ritual Lab come birrificio coincide con l’inaugurazione della sala cottura, nel 2015, anche se, in realtà, era già da qualche anno che il marchio girava, producendo per conto terzi. Fino al 2015 eravamo un birrificio itinerante, poi abbiamo aperto una sede tutta nostra, con questa grande sala cottura di cui parlavo poco fa, a Formello, alle porte di Roma. È nato tutto come un gioco, insieme a mio padre Roberto. Incuriositi dal mondo della birra, abbiamo iniziato a produrla in casa e, da gioco, è diventato un vero e proprio lavoro. Senza neanche accorgercene, la questione si è evoluta sempre di più, al punto che siamo qui a parlarne.
Anche qua, è grazie a una passione se sono diventato mastro birraio. Io, in realtà, provengo dal mondo del vino e, essendone un grande appassionato, avevo studiato come sommelier. Quando poi ho conosciuto davvero la birra – perché c’è un mondo da scoprire – mi sono molto incuriosito e ho usato quella che era la mia preparazione nella degustazione per inventare le ricette.
Sono d’accordissimo: anche fare birra è un’arte. La creazione di una specifica ricetta è un mix tra regole e creatività. Bisogna sempre partire dal fatto che esistono tantissimi stili, quindi ci sono delle linee guida, come per i vini, per poter chiamare in un determinato modo una birra. Ne esistono tantissime tipologie differenti, dalle basse fermentazioni alle alte fermentazioni, birre in stile belga o in stile americano e, di ciascuna macrocategoria, esistono degli stili precisi che denotano un determinato colore o un determinato grado di amaro, di aroma, di sapore. Quando si fa una ricetta, bisogna sempre avere in mente ciò a cui si vuole arrivare, il risultato che si vuole ottenere. Deve esserci sempre un prodotto di riferimento che si vuole cercare di ottenere. Si parte comunque con dei paletti, non c’è una totale libertà: se voglio fare una birra a bassa fermentazione so che posso utilizzare determinati tipi di lievito o giocare con specifici ingredienti, spaziare da un colore a un altro, ma sempre all’interno di determinate linee guida.
Subentra all’interno di ogni stile. Per qualsiasi birra si possono creare milioni di combinazioni differenti. Noi ormai produciamo più di 60 varietà di birra differenti e gli accostamenti della frutta o la tipologia di luppolo da usare, le caratterizzazioni vengono decise dal palato del mastro birraio che sceglie che aromi dare a un determinato prodotto. Anche se ci sono dei criteri, quindi, si può spaziare. Prendiamo ad esempio il caso della blanche, stile belga. Solitamente si utilizzano la scorza d’arancia e il coriandolo, noi nella nostra blanche usiamo il bergamotto, ma si può usare qualsiasi agrume, dal mandarino cinese al pompelmo. Si parte dalla linea guida – l’agrume – perché si sa che ci sta bene, si usa da sempre per questo stile di birra, per poi andare oltre. Si può provare a mettere i frutti di bosco, ma se non si è mai fatto, probabilmente, è perché hanno un sapore che va a coprire gli aromi, allontanando la birra da quel determinato stile. Se si vuole uscire dagli schemi, si possono fare anche birre fuori stile, ma tendenzialmente si fa così.
La birra a cui io sono più legato, anche emotivamente, è la classica Ritual Pills: è la prima birra che abbiamo mai prodotto, è inevitabile che sia la mia birra del cuore! Però, se devo parlare di immagine del birrificio, è sicuramente la Papanero: sia nella versione base che nelle versioni barricate. Nel tempo, è diventata la nostra birra simbolo, la più conosciuta a livello internazionale. Chi pensa a Ritual Lab, pensa automaticamente alla Papanero.
Le birre barricate sono ciò di cui vado più fiero. Uniscono la mia passione per la birra con quella precedente per il vino. È il nostro prodotto premium, il più importante. La più amata e conosciuta è, appunto, la Papanero, una russian imperial stout, che matura in ex botti di distillati. Cognac, bourbon, gin, porto o rum: utilizziamo diversi tipi di botti che hanno ospitato distillati prima di essere riempite con la Papanero e che rilasciano tutti gli aromi del distillato che c’era in precedenza. All’interno la birra rimane da un anno e mezzo a tre anni, per la maturazione. prima di essere imbottigliata.
Siamo una famiglia di appassionati e collezionisti di arte: siamo da sempre molto legati al mondo artistico. Io e i miei fratelli siamo cresciuti in mezzo all’arte ed è sempre stata la nostra passione. Quando abbiamo potuto, abbiamo cercato di unire ciò che ci piaceva al nostro lavoro: l’arte alla produzione di birra. Da qui, la nostra continua collaborazione con artisti emergenti e non e la collezione, parallela al mondo birra, delle etichette di cui noi conserviamo tutti gli originali. La collezione Ritual è l’insieme di tutti gli originali delle etichette che realizzano per noi diversi artisti. Ciascuna bottiglia o lattina di birra corrisponde a una tela o a una scultura, a un disegno, un’opera di street artist. Ogni etichetta ha una sua opera originale corrispondente.
Tante di queste opere sono esposte nei nostri locali - il ristorante Mogano ha tante opere di Pierluigi Bellacci, la Tap Room ha opere di Robert Figlia, tutte le celle frigo sono state disegnate da un altro writer che ha realizzato anche etichette per noi. In questo specifico caso, sono le celle frigo stesse a essere l’opera d’arte e sono interamente visitabili in sede. Di Bellacci, l’artista con cui collaboriamo di più, abbiamo proprio una galleria-archivio sulla Cassia, in cui teniamo tutte le sue opere esposte. Si può visitare, ma solo su appuntamento. Nello stesso posto, poi, organizziamo anche mostre ed eventi, presentazioni di nuove birre o nuovi artisti, in un legame birra-esposizione particolare e molto interessante, che attira molta curiosità. In primavera partirà un giro di collaborazioni con nuovi artisti, siamo sempre alla ricerca.
La prima volta è stato indimenticabile. Ancora eravamo un birrificio emergente, avevamo tanto da dimostrare. Oggi l’emozione è sempre quella, grandissima, perché è inevitabilmente molto emozionante, però con una maggiore consapevolezza di quello che facciamo ogni giorno, della qualità dei nostri prodotti. Siamo sempre più carichi di energia anche grazie a questi premi, che ci danno una spinta dal punto di vista psicologico. Non sono solo una conferma del tanto lavoro che facciamo durante l’anno, ma anche un modo per spronarci ancora di più.
Io, come ti ho già detto, tengo molto alle birre in botte, soprattutto alla Papanero Bourbon. Devo ammettere, però, che la Saison mi ha dato grandi soddisfazioni questa volta: è una birra lontana dalle nostre corde - siamo specializzati in birre luppolate, lager e maturate in botte. Quest’anno abbiamo vinto l’oro anche con la Saison, che è in stile belga e sono stata molto contento. È stata la conferma del fatto che sappiamo spaziare tra stili molto diversi, andando dal Belgio a Stati Uniti, Inghilterra, Germania. Un birrificio in genere si specializza, mentre noi quest’anno siamo riusciti a uscire dal campo che frequentiamo tutti i giorni e a vincere anche lì. Credevamo nella nostra birra, ma mai avremmo potuto pensare di vincere l’oro: siamo usciti dalla comfort zone e abbiamo avuto grandi soddisfazioni.