Arte & Cultura

L'uomo che non dimenticava nulla, lo strano caso del signor Š

La storia di Solomon Shereshevsky, il giornalista russo dalla memoria prodigiosa
A cura di   Barbara Balestrieri

Shutterstock by Jorm Sangsorn

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"Illimitata e senza confini": fu tutto ciò che, in un primo momento, quasi arrendendosi di fronte a un’evidenza sconcertante, il medico sovietico Alexander Luria riuscì a scrivere della memoria di Solomon Shereshevsky, noto anche come Š. D’altronde, dopo aver ascoltato una ripetizione perfetta della Divina Commedia, di poesie, formule matematiche di rara complessità, testi in lingue straniere mai apprese e, ancora, un’inappuntabile descrizione dell’esatto abbigliamento indossato quindici anni prima, perfino il fondatore della neuropsicologia faticò a non trovarsi disorientato. Perché il caso di Š sembrava esulare dagli schemi, salvo poi, grazie alla tenacia del medico che per trent’anni lo studiò, inserirsi nel contesto più chiaro di quella che oggi si definisce ipertimesia, una condizione per cui l'individuo ha una memoria autobiografica superiore a quella normale. Ma facciamo un passo indietro.

Solomon Shereshevsky nacque nel 1886 a Toržok, piccola cittadina della Russia centrale. Appassionato di musica, rinunciò alla carriera da violinista per un problema all’orecchio e si dedicò al giornalismo, alla satira in particolare, facendone la sua professione. Nel corso di una delle consuete riunioni mattutine in redazione, il direttore del giornale gli chiese perché, contrariamente ai suoi colleghi, non prendesse mai appunti. Solomon rispose candidamente che, in sostanza, non ne aveva bisogno, perché era tutto nella sua testa e, per rassicurare il capo in merito alla veridicità della sua affermazione, riportò parola per parola tutto ciò che era stato detto in riunione, senza tralasciare dettagli. Fu allora proprio il capo, spiazzato da quel resoconto tanto accurato, a organizzare l’incontro col giovane ma brillante ricercatore di psicologia dell’università locale, il dottor Luria, invitandolo a sottoporre Š a un test della memoria.

Astrazione e immaginazione

Il dottore dunque lo sfidò, chiedendo di memorizzare in soli trenta secondi serie di cinquanta e più parole, poesie in russo da recitare ad alta voce, vocaboli in lingue inventate. Solomon non sbagliò un colpo: non c’era particolare – in apparenza – che non potesse rammentare, perché nella sua mente tutto sembrava stipato in maniera perfettamente ordinata e nitida. E, in effetti, era così, come comprese più avanti Luria, che al suo speciale paziente dedicò la monografia Una memoria prodigiosa (1968): attraverso una precisa tecnica, definita “dei loci”, Š riusciva a immagazzinare un numero sterminato di informazioni, organizzandole in uno schema familiare per poi visualizzarle in uno spazio fisico immaginato. Una sorta di grande palazzo, strutturato in tanti piani e stanze, a cui il giornalista poteva accedere nel corso delle sue “passeggiate mentali”.

La capacità mnemonica di Solomon, dunque, non era propriamente di natura fotografica. Il suo era piuttosto un talento smisurato per i processi di astrazione e associazione di idee: l’immaginazione, infatti, gioca un ruolo cruciale nella persistenza dei ricordi. Grazie al modo in cui percepiva gli stimoli e li raffigurava nella sua mente, Š era in grado di memorizzare (quasi) ogni cosa, tanto che, secondo il dottor Luria, la tecnica dei loci subentrò solo in un secondo momento, come ausilio per rafforzare delle abilità che, già in partenza, erano assolutamente eccezionali.

Shutterstock by Paul Craft

Sinestesia

Il modo in cui Solomon riusciva a mettere in connessione pensieri e parole portò Luria a trarre la conclusione che il suo prodigioso paziente soffrisse di sinestesia, un fenomeno percettivo per cui la sollecitazione di un senso provoca una reazione anche in altri – basti pensare alla figura retorica che prevede l’accostamento di termini appartenenti a sfere concettuali diverse, come “luce calda”. Shereshevsky riusciva ad aumentare la temperatura della mano destra di 2 gradi immaginando semplicemente di metterla su una stufa, e, viceversa, ad abbassare quella della sinistra di 1,5, allo stesso tempo, pensando di tenerla su un blocco di ghiaccio. Poteva aumentare il suo battito cardiaco fantasticando di correre dietro a un treno per non perderlo, o rallentarlo figurandosi di essere addormentato.

Un inestricabile groviglio

Per Shereshevsky, il suono di un campanello evocava “un oggetto piccolo e rotondo, qualcosa di ruvido come una corda, il sapore dell’acqua salata e qualcosa di bianco”, annotava meticolosamente Luria, che realizzò quanto, invece, per il suo paziente fosse difficile ricordare volti, o informazioni che si discostavano dal loro significato letterale. E non era un problema trascurabile nella misura in cui, per confessione dello stesso Solomon, che prima di morire scrisse la sua autobiografia, rimasta incompleta, il complicato meccanismo della sua mente lo tormentava nel quotidiano. Le immagini nella sua testa si accumulavano e generavano a loro volta altre immagini, mandandolo in confusione ed estraniandolo; sovrapponeva realtà e fantasia, motivo per cui non riusciva a concentrarsi come gli altri adulti, con il risultato che, per tutta la vita, si sentì prigioniero di una dimensione infantile. Anche il solo fatto di leggere lo gettava nel caos, al punto che il grandioso talento mnemonico finì con l’assumere l’aspetto, in ultima istanza, di una maledizione.

Faticando a trovare pace in quella sua mente così rumorosa, Š si diede all’alcolismo, nel tentativo di acquietare il groviglio di pensieri, senza mai riuscire davvero nell’impresa. Morì nel 1958. “È difficile dire – scriveva Luria – cosa fosse davvero reale per lui, se il mondo dell’immaginazione, in cui viveva, o quello della realtà, in cui non era altro che un ospite temporaneo”.

 

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