Arte & Cultura
La facciata dell'ex orfanotrofio della Marcigliana
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La facciata dell'ex orfanotrofio della Marcigliana
Siamo a Roma, e più precisamente a Nord-Est, nei pressi della Riserva Naturale della Marcigliana, una distesa di 4.000 ettari di terreno. È proprio qui che sorge uno dei luoghi più inquietanti della città: l’ex Manicomio della Marcigliana. Di questo edificio abbandonato si è parlato molto ma forse comunque non abbastanza, e sul suo conto ci sono ancora oggi tantissime leggende.
Una costruzione dal sapore spettrale ormai in rovina, e i resti di quello che, un tempo, è stato un luogo tremendo che ha vissuto più vite. Costruito probabilmente negli anni Trenta dal Senatore Carlo Scotti, venne poi inaugurato da Benito Mussolini in persona nel 1934. In occasione del Giubileo del Duemila si pensò di rimetterlo a nuovo: l’idea era quello di trasformarlo in un ostello per i giovani, ma il progetto non vide mai la luce. All’inizio lo scopo dell’enorme palazzo era quello di orfanotrofio: aveva infatti il compito di accogliere bambine orfane. Finita la guerra, però, e caduto il Regime Fascista, divenne un ospedale geriatrico, che fu chiuso definitivamente alla fine degli anni Settanta.
Ma perché è chiamato “manicomio” se, in effetti, non fu mai adibito a ospedale psichiatrico?
Sappiamo che, comunemente, ci si riferisce a questo posto come “ex manicomio”, anche se, in effetti, il luogo non prese mai propriamente questa forma. La storia è molto semplice e ha a che fare in qualche modo con il cinema. Nel 1977, infatti, l’edificio comparve nel film La banda del gobbo: il regista, Umberto Lenzi, lo scelse per ambientarvi alcune scene di internamento, rinominandolo “Ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà”.
Nel tempo, questa credenza ha reso il luogo ancora più spaventoso e inquietante e, forse proprio per questo, con gli anni è diventato teatro di cacciatori di spettri, tossicodipendenti e sette sataniche.
Ma all'inizio era davvero così? Nel 2007, il mensile La voce del Municipio rese pubblica un'intervista a una signora che, da bambina, aveva vissuto nell'orfanotrofio. Laddove tutti ci saremmo aspettati parole angosciose e sconfortanti, dall'intervista venne invece fuori l'esatto contrario: la donna lo descrisse, infatti, come un luogo meraviglioso, con un ampio salone e pieno di luce.
Oggi, però, quel posto così descritto è invece un luogo spettrale e degradato, suddiviso in cinque piani con enormi spazi ridotti in macerie: un labirinto di scritte sui muri, disegni strani e fantasie contorte.
All’ultimo piano, dopo tante macerie, delle scale portano al terrazzo. E finalmente la luce entra e l’incubo sembra finire.