Arte & Cultura
Helmut Newton Amica. Milano, 1982 Amica. Milano, 1982 © Helmut Newton Foundation
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Helmut Newton Amica. Milano, 1982 Amica. Milano, 1982 © Helmut Newton Foundation
Nell’eterea cornice del Museo dell’Ara Pacis di Roma, fino al 10 marzo 2024, è in corso la mostra fotografica personale di Helmut Newton dal titolo programmatico Legacy. L’esposizione, organizzata dal direttore della Helmut Newton Foundation Matthias Harder e dal direttore artistico della Fondazione Le stanze della Fotografia di Venezia Denis Curti, ha aperto le sue porte lo scorso ottobre, dopo essere stata posticipata per 3 anni a causa della pandemia.
«Il mio lavoro come fotografo ritrattista è quello di sedurre, divertire e intrattenere», diceva di sé l’artista, e la mostra mette in luce proprio questi aspetti del suo lavoro. Newton, infatti, seduce intellettualmente lo spettatore, creando delle composizioni visive così esteticamente ironiche da sembrare lunari. Il percorso espositivo, organizzato in senso cronologico, si snoda lungo 6 capitoli che ripercorrono tutte le principali tappe dell’esperienza di vita dell’artista: oltre 200 scatti – di cui 80 esposti per la prima volta in questa occasione – che hanno fatto la storia della fotografia.
Negli anni ‘60, mentre i servizi di moda iniziavano a essere declinati maggiormente in senso artistico costruendo continue citazioni cinematografiche, Helmut Newton era nel pieno del successo per il suo stile visionario, da anticipatore dei tempi. Chiamato a Parigi su invito di Vogue, nel 1961 aveva già ritratto volti celebri, come Mick Jagger e Andy Warhol, e collaborato con stilisti del calibro di Chanel e Yves Saint Laurent. L’oggetto di moda, accessorio o abbigliamento che sia, per Newton altro non era che un espediente per anticipare il racconto della realtà. Non solo ha catturato lo spirito del tempo, ma lo ha anticipato, dando agli scatti di posa un taglio metafisico e fiabesco che rende le sue opere ancora attuali. Con lui, la fotografia commerciale si è reinventata, evolvendosi in arte e allontanandosi dall'approccio meramente descrittivo.
Helmut Newton, però, non si è occupato solo di questo: nel suo archivio figurano una quantità infinita di ritratti e nudi, principalmente femminili, declinati anch’essi con la stessa chiave di lettura. La sua è un’arte del perfezionismo: a differenza della maggior parte dei fotografi dell'epoca, che raffiguravano la realtà esattamente come era, storture e imperfezioni incluse, Newton edulcorava la realtà, costruendo pose irreali. Artista berlinese - Newton è l’anglicizzazione di Neustädter - che mostrò fin dalla giovane età una spiccata familiarità con la macchina fotografica, aveva alle spalle le atrocità delle persecuzioni razziali. Di origine ebrea, nel 1938, dopo un periodo di apprendistato presso la leggendaria fotografa della Repubblica di Weimar Yva, era dovuto fuggire dalla Germania nazista per riparare prima a Trieste e poi in Australia. E, forse, questa ricerca dell’impeccabilità nell’arte nasce proprio come risposta inconscia di chi si è dovuto rifugiare in un mondo sensoriale per sfuggire a quello, più aspro e avverso, della realtà.