Arte & Cultura
Shutterstock_by_Sergey Zuyev
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Shutterstock_by_Sergey Zuyev
L’essere umano è un animale sociale e razionale, per natura: si muove nel mondo, lo elabora e cerca di trovare degli strumenti per comunicare all’esterno ciò che ha sintetizzato interiormente. In questo senso, l’arte è uno dei mezzi più forti, insieme alla semplice – ma mai scontata – parola, per esprimere il proprio pensiero, le proprie rivoluzioni, ideali o emozionali che siano. Ma l’arte è anche un modo per esternare il proprio dissenso e dare a esso un canale di diffusione più ampio.
Con l’evoluzione della coscienza politica e la strutturazione di una vera e propria libertà di espressione – caratteristica peculiare di ogni democrazia e indispensabile per ogni artista – inevitabilmente anche nel mondo artistico sono arrivate tematiche politico-sociali di grande rilevanza. Gli artisti hanno iniziato sempre più a sfruttare il mezzo per raccontare i problemi della società e mettere tavolozza su tela il loro dissenso, nella speranza di dar vita a un movimento di consapevolizzazione sociale. La linea di confine tra arte e attivismo, nell’epoca attuale della sensibilizzazione sociale di massa, è sempre più sfumata. C’è un termine inglese specifico, che indica questa realtà: è l’artivism.
Secondo uno studio di ArtNews, la percentuale di coloro che hanno declinato la loro arte in senso politico - sociale è aumentata sempre di più. Attualmente, in corrispondenza con l’inasprirsi dei conflitti geopolitici e sociali, dalle discriminazioni alle violenze e alle sperequazioni del benessere, sfiora il 91%. L’arte come strumento politico, però, non è una novità degli ultimi mesi: il panorama, infatti, è più ampio che mai. E a guidare le fila è la street art.
Portabandiera della schiera pacifista, la cui unica arma – spesso molto contundente – è la creatività, è Banksy, dissenziente politico e provocatore per antonomasia. Dalle critiche al modello consumistico capitalista a quelle sulle barriere alla libertà, sino ai più delicati murales pacifisti a Gerusalemme, Banksy ne ha sempre fatto la sua cifra distintiva. Come anche TvBoy, pseudonimo di Salvatore Benintende, diventato noto per la sua urban art NeoPop dal sapore un po’ satirico sul mondo dell’influencer marketing – Chiara Ferragni ne è stata la vittima principale – e della politica interna nostrana.
Ai Weiwei, in un perenne odi et amo con la natìa Cina, da sempre affida alle sue opere una forte valenza politica. Due esempi fra tutti: i gommoni rossi appesi sulle mura di Palazzo Strozzi a Firenze nel 2016, in aperta denuncia della gestione della tratta migratoria del Mediterraneo, e il progetto Ai vs. AI del 2024, di critica all’intelligenza artificiale, che limiterebbe, secondo Weiwei, la libertà d’espressione esclusivamente “a libertà di fare domande”.
Anche in America Latina queste tematiche sono battute dagli artisti autoctoni. In Messico Pedro Reyes e Teresa Margolles raccontano con l’arte la triste realtà della violenza del narcotraffico, il primo in modo più utopistico, mentre la seconda in modo più crudo. In questo senso, l’arte si fa attivismo: diffonde, sensibilizza, approfondisce argomenti etico-politici su cui l’essere umano contemporaneo si sta sempre di più interrogando. E lo fa nel modo più semplice e puro del mondo. Liberando matericamente, nel significato più etimologico del termine, il proprio flusso razionale.