Arte & Cultura
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Nel 1923, in tutti i licei italiani prendeva forma, da direttive del ministro Giovanni Gentile, quello che sarebbe diventato l’esame più temuto, mitizzato, sospirato ma anche cantato – vedi Venditti – nelle cronache scolastiche, rito di passaggio obbligato per ogni studente pronto a lasciare definitivamente il microcosmo dell’aula. La maturità, spesso sognata a distanza di anni e rappresentata un po’ come Colonne d’Ercole nell’immaginario collettivo, ha subito evoluzioni importanti nel secolo trascorso dalla sua nascita: da rigidissima prova strutturata in 4 verifiche scritte e un’interrogazione verticale sull’intero programma degli ultimi 3 anni, validata da commissioni esterne e spesso di provenienza universitaria, a unico maxi-orale, dettato dall’esigenza di semplificare i processi durante l’emergenza Covid –, fino alla ritrovata fisionomia più canonica di cui sono testimoni i tempi recenti. Vediamo allora insieme i momenti (e i cambiamenti) chiave che, nella storia, hanno seguito la celebre, irripetibile notte prima degli esami.
Le indicazioni di Gentile, vero e proprio padre della maturità, erano chiare: cinque prove da svolgere fuori sede, di cui quattro scritte e un orale sull’intero programma del liceo valutato da soli membri esterni, in larga maggioranza insegnanti universitari. Una partenza decisamente in salita. L'irto panorama dei maturandi inizia a mutare quattordici anni dopo, quando, per volontà del ministro Giuseppe Bottai, a diventare oggetto dell’Esame di Stato è esclusivamente il contenuto delle materie apprese nell’ultimo anno. Il giudizio sugli studenti, invece, spetta a una commissione interna, a eccezione del presidente e del vicepresidente.
La Seconda guerra mondiale cambia poi radicalmente le carte in tavola e la maturità si risolve in un semplice scrutinio di fine anno. Si tratta di un compromesso temporaneo, destinato a estinguersi con la rinascita del periodo postbellico, negli anni Cinquanta, dietro disposizione del ministro Guido Gonella, che riporta in auge i precetti di Gentile, ammorbidendo tuttavia sia la composizione del collegio di esaminatori, in parte interni, sia la vastità del programma, ridotto ai temi essenziali.
Ma è il 1969 a segnare un vero e proprio punto di svolta, perché le modifiche apportate dal Ministro dell’Istruzione dell’epoca, Fiorentino Sullo, non si smuovono per i successivi 30 anni: la commissione vede la presenza di un solo docente interno – tutti gli altri sono esterni – e una suddivisione delle prove in due scritti e un orale su due materie, una a scelta del maturando. È l’anno dell’inaugurazione dell’iconico sistema di votazione a sessantesimi, secondo cui l’agognato diploma viene rilasciato con un punteggio minimo di 36/60.
Nel 1999, la formula d'esame più longeva di sempre, per decenni incontrastata, sperimenta un rovesciamento sostanziale. Sotto Luigi Berlinguer, prende vita il famigerato “quizzone”, vale a dire la terza prova, fedele compagna – chi l'ha fatta ne avrà memoria – delle angosce studentesche, strutturata con domande sui programmi di tutte le materie dell'ultimo anno. L’orale, invece, comincia a ruotare attorno alla neonata tesina multidisciplinare, valutata da una commissione mista, formata da tre membri esterni e tre interni, che per la prima volta assegna un punteggio in centesimi. Altra novità è l’introduzione del credito scolastico, per cui parte del voto finale deriva dalla media scolastica degli ultimi tre anni. Berlinguer definisce inoltre le quattro tipologie di tracce per la prova di italiano, ossia l’analisi del testo, il saggio breve, il tema di ordine generale e il tema storico.
Viene introdotta la lode, il “giudizio di ammissione”, i crediti attribuibili passano da 20 a 25: queste le regole volute da Letizia Moratti e poi da Giuseppe Fioroni, a cui fanno seguito quelle introdotte da Valeria Fedeli, che trasforma ancora – e drasticamente – l’Esame di Stato. I crediti diventano 40, tra i requisiti di ammissione fanno capolino l’alternanza scuola lavoro (ASL) e il superamento delle prove Invalsi, la terza prova lascia per sempre i licei a vantaggio di un ritorno inatteso delle due prove scritte, una argomentativa, di attualità o di ambito storico, l’altra legata all’indirizzo dell’istituto.
La pandemia, con la didattica a distanza, stravolge improvvisamente gli equilibri raggiunti: un unico colloquio orale, alla presenza di una commissione di soli membri interni, sostituisce tutte le altre prove e al voto finale concorrono in parte determinante i crediti scolastici. Con il termine dell’emergenza sanitaria, la maturità recupera le linee guida del 2017. I ragazzi si cimentano con due prove scritte, una recante sette tracce relative a tre diverse tipologie di compito, la seconda stabilita – in modo uniforme sul territorio italiano – sulla base dell’indirizzo. Nel colloquio orale, giudicato da commissione mista, assumono un ruolo decisivo l’esperienza dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (Pcto) e l’educazione civica. Siamo così arrivati al presente.
Oggi la maturità compie 101 anni, eterna incognita eppure, insieme, punto fermo per ogni studente che si accinge ad affrontarla. Perché che la si viva con gioia o dolore, la si guardi poi con tenerezza o nostalgia, una certezza – è proprio vero – c’è: non si scorda mai.