Viaggi

Gli otto borghi fantasma del Lazio

Luoghi abbandonati che continuano a raccontare storie
A cura di   Fabio Giusti

Shutterstock - Photo by fulpez

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Indubbiamente il Lazio è, tra le regioni italiane, una delle più ricche di storia, grazie a vicende millenarie che restano impresse tuttora tra le mura di molti dei suoi borghi. Solo otto di questi, però, hanno una particolarità che li rende realmente unici, ovvero quella di essere stati abbandonati nel tempo, fino a diventare dei veri e propri borghi fantasma. Visitarli oggi ha qualcosa di seduttivo cui difficilmente ci si può sottrarre. La seduzione di qualcosa che, pur non essendoci più, è ancora ben visibile, a imperitura testimonianza di com’era quel luogo, con le sue case, le strade, i campanili e i palazzi. Scopriamo insieme, quindi, dove si trovano questi otto suggestivi ed enigmatici borghi fantasma del Lazio e cosa c’è da vedere.

Stazzano Vecchia

Wikimedia - Photo by Albarubescens

Vicino Palombara Sabina c'è il primo di questi borghi in cui il tempo sembra essersi fermato. In questo caso specifico è fermo al 24 aprile del 1901, data in cui Stazzano venne semidistrutta da un sisma che costrinse la totalità dei suoi abitanti a edificare un luogo limitrofo istituendo, di fatto, la presenza di una Stazzano Nuova a contraltare di una vecchia. Dopo più di un secolo di abbandono, però, il tempo non è ancora riuscito a cancellare le tracce di questo antico borgo, sebbene la natura selvaggia sia diventata parte integrante dei suoi edifici. Addentrandosi tra i ruderi di Stazzano Vecchia, se ne distinguono ancora facilmente le vestigia urbane. A est, si erge ciò che resta del castello: la sua alta cinta muraria, con tre torri circolari agli angoli e, proprio al centro del cortile, la torre quadrangolare di circa 25 metri di altezza. In prossimità della torre meridionale, a ovest del castello, si trovano le mura della chiesa parrocchiale.

Quest’ultima delimita a sud la piazzetta del borgo, chiusa a nord da un edificio che doveva avere funzioni pubbliche, mentre a ovest della piazzetta si sviluppa l’antico borgo contadino, attraversato da un asse viario. Poco distante dal nucleo, poi, si ergono le rovine della chiesa di San Giovanni Evangelista, costruita nel 1322 e abbandonata dal XVIII secolo. Fu utilizzata come ricovero per il bestiame e, dopo lo spoglio dei suoi materiali, come cimitero. Dal borgo, lo sguardo si perde tra le colline circostanti ricoperte di ulivi e i campi coltivati, per poi fermarsi, in direzione sud-est, sul Monte Gennaro che sovrasta il territorio circostante. Sul lato opposto, invece, gli occhi incontrano il Monte Soratte, che si erge come una piramide sulla pianura. Il tempo congelato nei ruderi in pietra della vecchia Stazzano e il tempo continuo della natura si incrociano qui, in un luogo suggestivo che aspetta solo di essere scoperto.

Antica Monterano

Shutterstock - Photo by Fabio Costa

Monterano, conosciuto anche come Antica Monterano o Monterano Vecchia, è un borgo disabitato che, per la sua posizione e il fascino delle sue rovine, è stato spesso utilizzato come set cinematografico per numerosi film, come Ben Hur e ben tre film di Mario Monicelli, Guardie e ladri, Brancaleone alle Crociate e Il Marchese del Grillo. Arroccato su un’altura tufacea, Monterano Vecchia fa parte della Riserva naturale regionale Monterano che, istituita nel 1988, copre oggi poco più di 1.000 ettari di terreno che custodiscono una grande varietà di ambienti e una notevole biodiversità. Il paese, di fondazione etrusca e già spopolato per la malaria all'inizio del XVIII secolo, fu definitivamente abbandonato in seguito alle devastazioni inflitte dalle truppe francesi nel 1799, che portarono la popolazione superstite a trasferirsi nel vicino paese di Canale Monterano.

Monterano custodisce rovine di case medievali, del Palazzo Baronale, della chiesa di San Bonaventura (progettata da Mattia De Rossi su disegno del suo maestro Bernini) e i resti di un acquedotto dalle alte e belle arcate. La comunità di Canale Monterano è attiva da anni nell’opera di conservazione e valorizzazione del luogo. Tanto che, nel 2016, si è impegnata a raccogliere voti per un censimento atto a chiedere interventi di restauro conservativo finalizzati alla protezione dei manufatti dall'azione sia degli agenti atmosferici che della vegetazione, affinché Monterano possa continuare a essere fruito e apprezzato da cittadini e turisti.

Galeria Antica

Shutterstock - Photo by fulpez

Situata a nord di Roma, tra i comuni di Anguillara e Fiumicino, quella che oggi è conosciuta con il nome di Galeria Antica, un tempo si chiamava in realtà Careia. E antica lo è per davvero, visto che secoli fa fu colonizzata dai romani e, prima ancora, apparteneva agli etruschi. Con l’arrivo dei saraceni, poi, andò distrutta, per essere ricostruita in seguito grazie ai Conti di Galeria. Ecco perché ciò che rimane di questa città secolare è ora conosciuto come Galeria Antica. Successivamente la città è poi passata alla famiglia Orsini, ai Colonna e infine ai Sanseverino. Con il passaggio a quest’ultima famiglia, per Galeria, iniziò un lento ma inesorabile declino che la vide, nel corso degli anni, trasformarsi da centro fortificato a tenuta agricola.

Intorno alla metà del XVIII secolo gli abitanti del luogo iniziarono a morire in modo alquanto misterioso. Avvalendoci delle attuali ricerche si può ritenere che quelle morti sospette furono in realtà dovute a un’epidemia di malaria, malattia nient'affatto rara in una zona che, all’epoca, si presentava invasa in più punti dall’acqua che esondava dal Torrente Arrone. Ormai in rovina e ridotta per lo più a rifugio di pochi disperati, Galeria fu completamente abbandonata nell’anno 1809. In più di due secoli la vegetazione ha preso il sopravvento in tutta l’area dove sorgeva la città fortificata, creando un ecosistema unico nel suo genere. Infatti, tra i ruderi, possiamo ammirare specie vegetali di grande interesse tra cui lecci e aceri, ma anche cerri, olmi e ontani. Anche per questo motivo le rovine di Galeria Antica, nel 1999, sono state dichiarate Monumento Naturale per delibera della regione Lazio.

Celleno Antica

Il Sapere Storico - Photo by Andrea Contorni

Il borgo fantasma di Celleno sorge a 350 metri di altezza e a circa 1,5 km dal nuovo centro. Abbarbicata su uno sperone di tufo, si erge tra due torrenti che, gradatamente, sfociano verso il Tevere. Il basamento di tufo su cui poggia il borgo – che, per diversi secoli, ha conferito all’abitato una posizione privilegiata e un controllo sulla zona – è purtroppo soggetto a una lenta e progressiva erosione che sta mettendo in serio pericolo la sua stessa stabilità. Di fatto la stessa sorte capitata ad altri borghi della Tuscia quali Civita di Bagnoregio, fortunatamente sottratta al disfacimento per merito di una grande opera di puntellamento. Martoriata quindi da diversi smottamenti, nel 1951 Celleno venne dichiarata un luogo pericoloso in cui vivere, e sgomberata quindi su ordinanza dell'allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che obbligò i cellenesi a lasciare le proprie case e a trasferirsi in una località più sicura a circa un chilometro e mezzo dall'antico villaggio, nel paese "nuovo".

Da allora il borgo antico di Celleno divenne fantasma. Le sterpaglie cominciarono ad impossessarsi degli edifici, alcuni dei quali rimasero in piedi, mentre altri pian piano crollarono. Fino al 2018, quando i cellenesi si sono messi all’opera per recuperare e ridare vita al vecchio borgo, oggi entrato a far parte de "i luoghi del cuore" del FAI. Oltre a quanto detto, il territorio dell’antica Celleno, stretto tra il Lago di Bolsena a ovest e la media valle del Tevere a est, è di aspetto tipicamente rurale e presenta colture miste proprie dell’area della Tuscia. Così, le colture arboree come il ciliegio, la vite e l’olivo si integrano alla perfezione con quelle erbacee quali i cereali e i prati adibiti al pascolo. Questo diversità colturale disegna in tutta la zona un bellissimo paesaggio, che diventa particolarmente suggestivo nel periodo della fioritura dei ciliegi, di cui il territorio cellenese è particolarmente ricco.

Rocchette e Rocchettine

Shutterstock - Photo by essevu

Le fortezze gemelle di Rocchette e Rocchettine sorgono nel cuore della Sabina, circondate dai comuni di Montebuono, Vacone e del capoluogo Torri in Sabina. A pochi chilometri dal confine con l’Umbria, le fortezze dominano la gola del Fiume Laia, affluente del torrente Imelle (a sua volta affluente del Tevere). Se non si hanno notizie certe sugli artefici della loro realizzazione, si può però supporre che Rocchettine (già detta Rocca Guidonesca) possa essere posta in relazione con la consorteria dei Guidoneschi, che edificò vari castelli nella zona. Si sa che, nel trecento, ambedue i borghi furono dei Savelli e quindi, agli inizi del cinquecento, degli Orsini per poi passare nel settecento tra le proprietà della Chiesa che, ai primi dell’ottocento le assegna al Comune, cui appartengono tutt'oggi.

Sembra che, nel settecento, Rocchettine risultasse già abbandonata, pur sopravvivendo qualche casupola (di cui oggi si osservano i resti) nei dintorni della fortificazione. Ai giorni nostri, mentre il borgo basso di Rocchette ha ormai perso il carattere precipuo di luogo fortificato, mantenendo l’aspetto di sereno paese medioevale, Rocchettine conserva nella sua interezza l’aspetto cupo del vecchio borgo castellano, con le sue fortificazioni che incombono sui ripidi pendii dal colore verde dei muschi, a strapiombo sulla angusta vallata sottostante.

Fogliano

A pochi chilometri da Latina, nella parte settentrionale del Parco Nazionale del Circeo, c’è il Borgo di Fogliano. Siamo in un piccolo villaggio di pescatori del 1700, oggi disabitato. Infatti, dagli anni d’oro che visse con i Romani, sprofondò poi nell’abbandono fino a quando fu riscoperto dallo Stato Pontificio. Il Borgo di Fogliano è infatti legato a doppio filo alla famiglia di Papa Bonifacio VIII, ovvero Benedetto Caetani. Fu la Famiglia Caetani a dare il via al rifiorire del borgo con la costruzione della Villa Padronale, della villa inglese, di una piccola scuola per i figli degli abitanti, di una chiesetta neogotica moderna sull’antica Chiesa di S. Andrea.

A renderla ancor più speciale fu l’intuizione di Ada Constance Bootle Wilbraham, moglie inglese del duca Onorato Caetani. Correva l’anno 1867 quando sposò Onorato, duca di Sermoneta, eper vivere nella residenza dei Caetani sul lago di Fogliano dove creò un esotico giardino botanico. In ricordo del suo estro rivolto alla natura, il viale d’ingresso a Villa Fogliano porta il nome di Ada Caetani. Purtroppo, con gli anni, molte piante esotiche ospitate all’interno della struttura andarono a morire. Ma non possiamo dimenticare, se non altro, le famose palme che fecero da sfondo ad alcune scene del film Ben Hur.

Borgo di Monte Antuni

Wikimedia - Photo by Alessandro.P.76

Arroccato in cima a un colle circondato da acque lacustri, Antuni è il borgo fantasma che, dominando la valle del Lago del Turano con i suoi ruderi, vanta una delle posizioni più belle del centro Italia. Ci troviamo nella provincia di Rieti, in uno dei territori storico-naturalistici più ricchi del Lazio. Antuni sorge, avvolto da un'aura quasi fantasy, in cima all’omonimo monte, quasi completamente circondato dal bacino lacustre se non per un istmo che lo collega alla terraferma. Un tempo, sotto al borgo non c'era un fiume, bensì una vallata. É solo nei suoi ultimi 10 anni (circa) di vita che il borgo si trovò a ‘galleggiare’ sulla sommità del colle.

Fondato – si suppone – nel XI secolo, probabilmente per volontà della famiglia Guidoneschi, la storia di Antuni fino all’epoca medievale non è particolarmente nota, mentre nei secoli itra il 1500 e il 1900 il borgo fu dominio di diverse famiglie nobiliari. Ma è del 1944 l’evento storico che portò al suo totale abbandono. Quell'anno Antuni fu infatti bombardata per errore (si puntava a distruggere il vicino ponte che permette di attraversare il lago) durante la Seconda Guerra Mondiale. Dagli anni ’50 divenne completamente disabitato, e da lì per quattro decadi cadde vittima dell’incuria.

Corvaro Vecchia

Wikimedia - Photo by Marica Massaro

Posto a quota 874 metri e collocato ai piedi del monte Cava, ai margini della piana del Cammarone, Corvaro è il centro più popoloso del Comune ed è considerato il borgo medievale per eccellenza, grazie al ruolo che ha rivestito nella storia del Cicolano, ovvero la bassa Provincia di Rieti al confine sud-est con l'Abruzzo. Questo centro è costituito da un grappolo di antiche case che sembra emergere direttamente dal cuore della roccia ed è dominato dalla superba Rocca, che può essere considerata il simbolo del paese. Le prime notizie riguardanti Corvaro risalgono agli inizi del XII secolo; le fonti rivelano che il borgo, nel 1100, era in possesso dell’Abbazia di Farfa.

Altre notizie possiamo attingerle dalle Visite Apostoliche compiute a Corvaro, di cui si ha cognizione solo a partire dal 1500, poiché non restano atti di visite precedenti, ma, comunque, ci permettono di conoscere la vita civile e religiosa di questo paese. A Corvaro vivevano una decina di sacerdoti e una comunità francescana. A tal proposito è bene ricordare (o informare, per chi non lo sapesse) che, intorno al 1225, in occasione della permanenza a Rieti per curare una malattia agli occhi, S. Francesco d’Assisi iniziò a percorrere i castelli vicino Rieti e le zone del Cicolano, tra cui proprio Corvaro. Dopo un’iniziale ed ostile accoglienza, vi fu la conciliazione tra il Santo e i Corvaresi ai quali S. Francesco lasciò, come simbolo di pace, un cappuccio che viene ancora conservato e venerato.

 

 

 

 

 

 

 

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