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Shutterstock by logaen
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Una Palermo esuberante, a tratti caotica, dove i mercati storici, moderni suk, animano le piazze simbolo della fusione di culture millenarie, avvolgente, con i colori della terra che si mescolano a quelli del mare e il profumo delle zagare che si sprigiona nell’aria, ma anche misteriosa, labirintica, affollata da persone da interrogare e vicoli da esplorare, su cui campeggia maestosa la cattedrale arabo-normanna, inquadrata da una terrazza d’eccezione: è questa l’immagine che Viola come il Mare restituisce del capoluogo siciliano. Rinnovata per una seconda stagione, in onda su Canale 5 a partire dal 2 maggio, la serie light crime Mediaset (disponibile anche su Netflix) fa di Palermo molto più che un semplice sfondo per le indagini di Francesca Chillemi e Can Yaman, alias Viola Vitale e Francesco Demir, attribuendole un substrato metaforico, naturale per una città emblema da sempre dell’incontro di popoli, e affidandole un messaggio persino salvifico.
Viola torna infatti a Palermo, luogo natio, per mettersi sulle tracce del padre che non ha mai conosciuto, forse il solo in grado di aiutarla a fare luce sulla sua malattia neurodegenerativa, che le ha regalato tuttavia un vero e proprio superpotere: la sinestesia, una condizione per cui riesce a vedere e sentire le emozioni altrui attraverso i colori, leitmotiv dell’intera serie. Da giornalista di costume e società, diventa cronista di nera e conosce Francesco, l’ispettore capo di polizia, l’unico che sembra impossibile da decifrare. I due, poli opposti, si ritrovano a collaborare cercando un fil rouge che accomuni gli omicidi che iniziano a verificarsi in città. Saranno l’energia travolgente di Palermo e l’anima dei suoi abitanti, con i loro complessi rapporti umani, a restituire il senso smarrito non solo agli eventi, ma all'intero percorso di Viola.
Oggi che sempre più persone si lasciano ispirare dalle location del piccolo e grande schermo per orientare i loro viaggi, ci soffermiamo su quelle più iconiche della fiction prodotta da Lux Vide.
Le sue testimonianze artistiche e architettoniche l’hanno eletta rappresentante della multiculturalità di Palermo, al punto che è impossibile parlare del capoluogo siciliano senza indugiare sulla sua scenografica cattedrale. Dagli arabi ai normanni, passando per gli svevi e gli aragonesi, non c’è popolo dominante in Sicilia che non abbia lasciato un’impronta su questo campione di storia millenaria. Principale luogo di culto della città e sede arcivescovile dell'arcidiocesi metropolitana, la cattedrale si distingue per il complesso stile eterogeneo, in cui gli elementi arabi e normanni, fondativi e preponderanti, si fondono con il gusto gotico e barocco di successiva derivazione. E se l’esterno colpisce a prima vista, l’interno nasconde un vero e proprio tesoro: dalle collezioni di gioielli e di opere d'arte sacra, fino alle reliquie della cripta e alle tombe reali.
Ai piedi del promontorio roccioso del Monte Pellegrino, lungo la costa nord ovest della città, sorge la Spiaggia della Vergine Maria, nell’omonimo quartiere balneare nato nell’Ottocento come borgo di pescatori imperniato attorno alla tonnara Bordonaro. Celebre per la sua sabbia dorata, mista a ciottoli, e le acque turchesi che sfumano gradatamente verso l’azzurro incontrando l’orizzonte, questa distesa baciata dal sole è a libero accesso e amatissima dai palermitani e dai turisti, che vi trovano un fondale profondo e un’oasi di pace in una cornice di grande suggestione, dominata dalla riserva naturale orientata del Monte, pur restando a pochi passi dai caseggiati e dai servizi circostanti.
Lo stile gotico è smorzato dalle più dolci influenze mediterranee nell’ex tonnara dell’Arenella, frutto del sapiente lavoro di trasformazione voluto da Vincenzo Florio, senatore del Regno d’Italia, che nel 1830 acquistò l’antico complesso per adibirne una parte a dimora privata, affidando il progetto all’architetto Carlo Giachery. Nacque così la palazzina quadrangolare neogotica nota come “I Quattro Pizzi”, per via delle quattro slanciate guglie che la sovrastano. I suoi interni hanno accolto nella storia personaggi illustri, come la zarina Carlotta di Prussia, moglie di Nicola I, che della struttura si innamorò al punto da volerne una copia fedele vicino San Pietroburgo. Nei primi del Novecento la tonnara dell’Arenella, quartiere storicamente legato alla pesca prima dell’espansione nel secondo dopoguerra, perse definitivamente la sua funzione originaria. Oggi è location privilegiata di un ristorante, oltre che – va da sé – di serie televisive.
Il più grande edificio lirico d’Italia, inaugurato nel 1897, dopo vent’anni di lavori, davanti agli occhi stupiti degli italiani, che a Piazza Verdi, in pieno centro storico, si trovarono di fronte un complesso di oltre 7.730 metri quadrati – è infatti terzo, in Europa, per estensione, dopo l’Operà National di Parigi e il Wiener Staatsoper di Vienna. Lo stile eclettico è bilanciato, in una straordinaria armonia d’insieme, dall’adesione ai canoni del neoclassicismo, secondo progetto dell’architetto Giovan Battista Filippo Basile e, quindi, del figlio Ernesto, che diede alla sala interna, a ferro di cavallo, una raffinata impronta in stile liberty – movimento di cui era autorevole rappresentante.
Oggi il teatro, massima istituzione teatrale di Palermo, da cui il nome, ospita le più importanti compagnie nazionali e internazionali, ma ha prestato i suoi gloriosi spazi anche al cinema, trasformandosi in set, nel 1990, della scena finale del film cult Il padrino - Parte III di Francis Ford Coppola, con Al Pacino.
È forse l’emblema dell’anima più autentica e cosmopolita di Palermo e la sua atmosfera è tanto riconoscibile da essere divenuta folkloristica, scandita com'è dalle “abbaniate”, in dialetto i pittoreschi richiami ad alta voce degli ambulanti che invitano senza sosta all’acquisto i passanti, inebriati dai colori e dagli odori del cibo. Il mercato di Ballarò, che si sviluppa da Piazza Casa Professa ai bastioni di corso Tukory, mantiene ancora oggi la fortissima impronta della dominazione araba che la storia gli ha conferito. Ora come allora, infatti, le spezie, i banchi stretti l’uno all’altro, i cesti e i tendono variopinti, di tipica ascendenza nordafricana, accompagnano il viavai in questa area, dove si pratica quotidianamente l’antica arte della compravendita, secondo tradizione. Con i suoi due volti, di giorno caratteristico suk, di notte epicentro della movida, Ballarò è incarnazione da manuale della poliedricità del capoluogo siciliano.